“I sogni, una scala verso il cielo”

“Gli ebrei sono stati perseguitati, cacciati ed esiliati per 2mila anni. Ma la loro identità ha resistito. Perché? Perché almeno una volta all’anno. durante la nostra Pasqua, raccontiamo la nostra storia e la insegniamo ai nostri figli, mangiamo il pane azzimo dell’afflizione e l’erba amara della schiavitù. E non abbiamo mai perso la nostra identità. Penso che, collettivamente, dovremmo ritornare a narrare la nostra storia, la storia di chi siamo, e da dove veniamo, degli ideali per cui viviamo. E se questo avverrà. diventeremo abbastanza forti da dare il benvenuto allo straniero e dirgli: ‘Vieni e condividiamo le nostre vite, le nostre storie, le nostre aspirazioni, i nostri sogni’. Quello è il noi dell’identità”. In un appassionato intervento tenuto due anni fa ai Ted Talks il rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth, tra le voci ebraiche più autorevoli al mondo, spiegava “come affrontare, insieme, il futuro senza paura”. Consapevolezza delle radici, difesa dell’identità, apertura al mondo e in questo filone costruzione di percorsi condivisi per dar vita a progetti utili per la collettività. Un approccio che si ricollega a quello che è proposto nell’ormai imminente Giornata Europea della Cultura Ebraica, che in Italia sarà celebrata domenica 15 settembre in 88 località e con Parma città capofila (qui il programma completo e altre informazioni). Tema di quest’anno sono infatti i sogni intesi come “scala verso il cielo”. Un riferimento esplicito a uno dei sogni più celebri, quello di Giacobbe. 
Interpretazione dell’attività onirica, dai testi della Tradizione ai grandi pensatori di oggi. Ma anche speranze riposte nel breve, medio e lungo periodo. Questo il doppio binario su cui si muove questa edizione della Giornata, nel segno di un nesso – quello tra sogni ed ebraismo – che si è propagato attraverso i luoghi e le generazioni.
Sottolinea rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Educazione e Cultura dell’Unione, che firma uno dei testi di presentazione sul sito della Giornata: “Uno dei motivi per cui non possiamo esimerci dal tenere i sogni in notevole considerazione e di ritenerli un aspetto importante della profezia è certo dovuto al rilievo che ad essi viene dato nella Bibbia. Nell’intendere i sogni come veicolo della parola divina, la tradizione rabbinica afferma che il sogno è un surrogato della rivelazione, dato che l’informazione che arriva dal cielo attraverso il sogno ha qualche piccola affinità con la profezia”. In particolare il sogno della scala evocato in questa Giornata suscita, per il rav, riflessioni attuali e stimolanti: “Dopo che riesce a mettere assieme 12 pietre che si fondono in un’unica pietra, Giacobbe sta per diventare la storia infinita dei figli che non esistono ancora. In questa cornice le pietre diventano un cuscino-letto, luogo del concepimento del popolo ebraico. Israele, infatti, è l’identità integrata di Giacobbe e insieme la sua diversificazione”. Unione dei suoi dodici figli-tribù, dodici modi diversi di essere ebrei. Una identità che, afferma rav Della Rocca, “può essere sintetizzata in una scala che unisce cielo e terra con degli angeli che volano in un andirivieni, come in una dialettica inesauribile, un ponte creativo tra cielo e terra”. 
Tra le figure contemporanee che saranno al centro della Giornata spicca naturalmente quella di Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi. In che misura può essere considerata una scienza ebraica? Un interrogativo al quale potrete trovare più di una risposta nel dossier “Il signore degli anelli”, curato da Ada Treves e pubblicato su Pagine Ebraiche di novembre dello scorso anno. La sua figura ispira tra gli altri l’intervento dell’assessore alla Cultura UCEI David Meghnagi che a Roma, al Palazzo della Cultura, terrà una lezione su “Il segno del ritorno nel Kibbutz tra Freud, Gordon e Marx”. “Il peso che il pensiero di Freud ebbe sull’intero yishuv fu enorme. Da alcune ricerche che ho fatto, risulta che è stato il terzo autore più letto in assoluto. Il suo pensiero, anche quando è stato criticato, è stato così parte del processo di emancipazione ebraica. Significativo inoltre che l’anno in cui decide di rivedere la sua teoria sul trauma, il 1897, sia caratterizzato da eventi particolarmente simbolici come il Congresso sionista di Basilea da una parte e la nascita del Bund nell’Impero zarista dall’altra”. Nella relazione Meghnagi racconterà inoltre il sostegno dato da Freud ai giovani ebrei orfani arrivati nell’allora Palestina mandataria in fuga dai pogrom, che furono protagonisti sotto la guida di un suo ex allievo di una “pedagogia anti-autoritaria” che ha fatto scuola. Spunti di riflessione che, nell’itinerario tracciato, incontreranno anche la nascita della società psicoanalitica israeliana, diventata in pochi anni la terza più importante al mondo con l’arrivo di grandi menti in fuga da Austria, Germania ed Est Europa. Al centro anche la personalità “tolstojana” di Gordon, la sua aspirazione di fratellanza umana e l’ideale ancora vivo del kibbutz, parola ebraica che ha origine da una radice chassidica e che sta a testimoniare, riflette Meghnagi, “che se è vero che nei kibbutz di sinistra non ci sono sinagoghe, è vero pure che i kibbutz è come se fossero tutti una grande sinagoga”. 
“La differenza tra sogni e speranze”. È il titolo di una stimolante riflessione di David Bidussa, storico sociale delle idee, che è pubblicata sul numero di settembre di Pagine Ebraiche in distribuzione. “Perché parleremo di sogno il prossimo 15 settembre? Forse per non parlare della realtà. Il sogno può talora configurarsi come presagio, come prefigurazione di un evento che accadrà o dare forma e configurazione a una vita e a una biografia. I sogni che incontriamo nel Tanakh sono questo: testimoniano di questo percorso. Ma non parlano di speranza. Tra sogno e speranza – evidenzia lo storico – c’una differenza importante”. Il sogno è infatti “una raffigurazione al futuro di ciò che vogliamo o ci viene assicurato che ci sarà”. La speranza, invece, “non è certezza”. Perché è così importante questa distinzione? “Perché – sostiene Bidussa – forse quello smarrimento che sta tra il sogno e la raffigurazione della speranza parla molto della nostra condizione collettiva al tempo presente. E forse perché un modo per uscirne è cercare di connetterli, senza che il primo si mangi la seconda”. 
Torniamo all’immagine evocativa della scala verso il cielo. “Il sacro e il profano, lo spirito e la materia, l’invisibile e il visibile, il cielo e la terra. Tra queste due realtà – spiega il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, in un altro testo di presentazione della Giornata – c’à un tramite (la scala) e le persone che la percorrono (gli angeli). In questa chiave la visione diventa rappresentazione stessa dell’incontro delle due realtà; potrebbe essere il paradigma generale che spiega che cosa è un sogno: appunto una forma di comunicazione tra le due realtà; o anche la rappresentazione stessa del senso della Torà e di chi la trasmette”. Se questo è il senso basilare, aggiunge il rav, tutte le interpretazioni che si succedono e si sovrappongono non sono che diversi aspetti dello stesso tema: dalla definizione di un luogo sacro, alla rivelazione del Sinai, alla provvidenza divina che guida gli uomini e li protegge, alla realtà umana come specchio di quella delle sefirot, alla caducità dei regni della terra rispetto all’eternità di Israele, fino al problema della comprensione della realtà in tutte le sue dimensioni. 
“Nel Talmud – osserva invece rav Scialom Bahbout – troviamo opinioni dalle quali si può  dedurre che i sogni sono privi di significato e non sono altro che un’espressione dell’immaginazione dell’uomo; incontriamo però anche numerose affermazioni dalle quali si deduce chiaramente che il sogno è uno strumento attraverso cui Dio parla all’uomo, per indicargli come comportarsi e per comunicargli addirittura la norma da stabilire in determinati casi”. Prove che i sogni rappresentino qualcosa di reale, “una sorta di segnale profetico che è destinato a realizzarsi nel tempo”.
Ricorda Massimo Giuliani, docente dell’Università di Trento: “La casistica onirica, si può intuire, è potenzialmente infinita come i sogni umani, soprattutto se si parte dal presupposto che essi siano messaggi in codice, segni e simboli, premonizioni, ecc. Il confine tra interpreti di sogni e maghi era, è e sarà sempre sottile come un capello. Inoltre la scala dei sogni, ebraicamente, va in discesa: se un sogno non aiuta a vivere meglio su questa terra, è probabile che sia un cattivo sogno”. 
Col tema si è cimentato anche rav David Sciunnach, rabbino capo di Parma, che in un suo intervento pubblicato dal notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24 e dal portale dell’ebraismo italiano www.moked.it prendeva in esame il periodo “…Ed il faraone fece un sogno…”(Bereshìt 41, 1), collegandolo all’esperienza di un’altra figura fondamentale per l’ebraismo come Giuseppe. Per rav Sciunnach “è interessante notare che i sogni del faraone sono due, proprio come i sogni che fa Yosèf, e che tra questi vi è un parallelismo: nei sogni di Yosèf, il primo riguarda le cose materiali e terrene come è scritto (Bereshìt 37, 2): ‘Ecco che noi leghiamo dei covoni nel campo…’, il secondo riguarda invece delle cose spirituali (Bereshìt 37, 9): ‘Il sole, la luna e undici stelle…’”.
“Nei sogni di Yòsèf – aggiungeva rav Sciunnach – vi è dunque una crescita, un’elevazione che passa dalla materia alla spiritualità. Mentre i sogni del faraone hanno una simbologia totalmente terrena che va retrocedendo dal mondo animale, con il sogno delle sette vacche, al mondo vegetale, con il sogno delle spighe”. 

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(6 settembre 2019)