Lo speciale di Pagine Ebraiche
Lamarr, l’inventrice più bella del mondo
Il fascino senza tempo di Hedy Lamarr ancora protagonista a Venezia, dove il film-scandalo dell’edizione 1934, Exstase del regista cecoslovacco Gustav Machatý, ha avuto l’onore della pre apertura alla Mostra del cinema ha avuto l’onore della pre apertura alla Mostra del cinema grazie una nuova copia digitale restaurata per l’occasione, presentata in anteprima mondiale al Lido (ad operare il restauro la cineteca di Praga in collaborazione con British Film Institute, Cinémathèque16, Cinémathèque suisse, CNC, Danish Film Institute, Filmarchiv Austria, Gaumont e Slovak Film Institute).
L’opportunità per riscoprire il talento di un’attrice dal fascino ineguagliabile, che nella sua vita – come vi raccontiamo nello speciale pubblicato su Pagine Ebraiche di settembre in distribuzione – fu anche molto altro. Un omaggio, quello in Laguna, che le è stato tributato mentre in contemporanea a Berlino, nella cineteca del Deutsche Historische Museum, si è tenuta una grande retrospettiva in suo onore con la proiezione di tutti i suoi film.
Venezia ha aperto con Lamarr e ieri ha chiuso con Roman Polanski, vincitore del Gran Premio della Giuria con il suo ultimo film L’Ufficiale e la Spia (J’Accuse), dedicato alla vicenda di Alfred Dreyfus e da molti ritenuto l’ennesimo capolavoro del regista di origine polacca.
Hedy Lamarr, l’inventrice più bella del mondo
“Il segreto del suo fascino è nel suo volto, nei suoi lineamenti, nei suoi occhi”, scrive di lei il New York Herald Tribune recensendo nel 1939 La signora dei tropici. Hedy Lamarr è allora nel pieno fulgore del successo. Celebre per essere apparsa senza veli in Exstase (1932), il film-scandalo capolavoro del cecoslovacco Gustav Machatý, è riuscita dove tanti suoi colleghi europei si arenano. È sbarcata a Hollywood ed è subito diventata una star. Lanciata da Mgm come “la donna più bella del mondo”, Hedy spicca in un mondo di bionde come un frutto esotico. Ha i capelli nero pece divisi da una scriminatura grafica, gli occhi magnetici, la bocca sensuale. È perfetta per i ruoli audaci e trasgressivi. Sul grande schermo finisce per ritrarre una carrellata di eroine eroticamente aggressive, indipendenti. Nessuno le sospetta un’intelligenza fuori del comune, che nel tempo libero la vede lavorare a una serie di invenzioni. Prima fra tutte, un sistema di guida a distanza per siluri messo a punto durante la guerra considerato il precursore del wifi e del bluetooth e brevettato nel 1942.Se fosse un uomo, il mondo della scienza la accoglierebbe a braccia aperte. Ma è una donna, la più bella del mondo. Nessuno le fa credito di un cervello. L’esercito finirà per usare la sua idea, ma nel frattempo le si consiglia di contribuire alla causa alleata nei più utili panni di pin up – intrattenendo le truppe, vendendo baci o buoni di guerra. Lo stesso Mel Brooks, che in Mezzogiorno e mezzo di fuoco si era velenosamente ispirato a lei per il personaggio di Hedley Lamarr (e lei si era affrettata a fargli causa), intervistato un anno fa in Bombshell, un documentario dedicato all’attrice, dichiara di non aver mai sospettato che era stata Lamarr a concepire la tecnologia wifi che ormai è un cardine delle nostre vite. Passerà mezzo secolo prima che Hedy veda l’invenzione diventare nota, ma solo dopo la morte il suo valore scientifico è riconosciuto al punto da farne un’icona di donna scienziata. Fino ad allora, i giornali preferiscono occuparsi dei suoi look, degli occhi da gatta, dei sontuosi abiti da sera e soprattutto dei suoi amori turbolenti – sei matrimoni e altrettanti divorzi che alimentano la stampa popolare per qualche decennio. È proprio un matrimonio fallito a portarla negli Stati Uniti. Nata a Vienna nel 1914, Hedwig Eva Marie Kiesler è figlia unica. La madre Gertrud, una pianista originaria di Budapest è nata in una famiglia ebraica dell’alta borghesia e si è convertita al cattolicesimo. Il padre Emil, un banchiere, anch’egli ebreo, è originario di Lemberg, allora in Galizia. Diventata famosa per le scene di nudo in Exstase (1932) del cecoslovacco Gustav Machatý, premiato alla seconda Mostra del cinema di Venezia, appena diciottene Hedy sposa Friedrich Mandl, un ricchissimo mercante d’armi legato a Hitler e Mussolini. È a quegli anni che deve l’incontro con il mondo della scienza applicata destinato a rivelarsi così importante nella sua vita. Hedy accompagna il marito alle riunioni in cui discute di tecnologia militare con scienziati e tecnici, si appassiona al tema e fa tesoro di quel che sente. Il matrimonio però non funziona. Lui le proibisce di recitare e la rinchiude in un castello al confine con la Cecoslovacchia. Lei scappa e si rifugia a Londra. Qui convince Louis B. Mayer, allora a capo di Mgm, a portarla negli Stati Uniti. Il produttore, che in principio la ritiene inadatta al gusto puritano di quel Paese, si convince e la lancia come Hedy Lamarr – un nuovo cognome destinato a esorcizzare lo scalpore di Extase. Il tempismo non può essere migliore. Nel 1938, quando Hitler annette l’Austria, la giovane è ormai oltreoceano e aiuta la madre a fare altrettanto (il padre è morto qualche anno prima). Negli Stati Uniti, Hedy imbocca alla svelta la via del successo intrecciando amori, matrimoni e film – il più celebre, il colossal di Cecil B. De Mille, Sansone e Dalila (1949) – in un’aura di scandalo che la insegue fino all’ultimo. In un inquietante contrappunto, quando ha superato la cinquantina, Extase riaffiora ed è infine distribuito nelle sale americane da cui tanti anni prima era stato bandito per oscenità. È il lancio perfetto per l’autobiografia Ecstasy and Me. Lei smentirà il ghost writer accusandolo di avere inventato tutto, ma il libro è già un best seller. Il finale lieto, con i riconoscimenti del mondo scientifico e una vittoria legale che le regala un pugno di milioni, è dietro l’angolo ma nell’attesa Hedy Lamarr attraversa anni desolati. Alla fine degli anni Cinquanta la sua carriera declina insieme alla salute, gli amori diventano troppo tempestosi e i soldi sembrano non bastare mai. L’attrice si isola e attribuisce il suo sperdimento all’essere sola, straniera, priva di radici. Presto il suo unico contatto con il mondo diventa il telefono. Muore nel 2000 e, come lei voleva, il figlio Anthony ne sparge le ceneri nei boschi intorno a Vienna. Il tempo ha finito per rendere giustizia a questa straordinaria figura di donna, leggenda di Hollywood e scienziata di genio. Presto a calarsi nei suoi panni in una serie di Showtime sarà l’israeliana Gal Gadot. Nessuno meglio di lei, che ha dato volto e voce a Wonder Woman, può restituire in tutta la sua complessità una delle dive più affascinanti e creative del ventesimo secolo. Non che ci sia bisogno di lei per celebrare Hedy Lamarr. Quello succede ogni volta che usiamo un cellulare, un Bluetooth o un wifi.
Exstase e lo scandalo che infiammò Venezia
L’alone di scandalo è ormai un ricordo. Exstase (1932) di Gustav Machatý – il film che alla seconda Mostra del cinema di Venezia fece clamore per il nudo della futura diva Hedy Lamarr – interroga oggi l’emozione e la prospettiva storica più del comune senso del pudore. Soprattutto, come ha confermato la proiezione nella serata di pre-apertura dell’ultimo festival veneziano, il capolavoro di Machatý dispiega una qualità artistica che la notorietà e l’aspetto erotico troppo accentuato per l’epoca hanno a lungo messo in ombra. Nella sua creazione più controversa oggi disponibile in una nuova copia digitale restaurata, Machatý esplora il tema del desiderio già presente nei suoi Erotikon (1929) e Ze soboty na neděli (1931). Exstase, una delle opere più importanti della filmografia cecoslovacca negli anni Trenta, narra della giovane Eva, sposata da poco con l’anziano Emile, che si infatua del giovane ingegnere Adam. Sullo sfondo di questa semplice trama Machatý, insieme al direttore della fotografia Jan Stallich, mette in scena una rappresentazione stravagante e visualmente ricca di passione e dedizione, carica di simbolismo, accompagnata dalla musica di uno dei più ricercati compositori di colonne sonore dell’epoca, Giuseppe Becce. A farne un caso celebre è la prima scena di nudo integrale nel cinema maggiore, che mostra una diciannovenne Hedy nuotare in un laghetto e in un caleidoscopio di luci e ombre correre nei campi all’inseguimento del suo cavallo per poi nascondersi fra i cespugli. Al gusto contemporaneo la sequenza sembra castigata come del resto le inquadrature in cui solo le espressioni dei due amanti e un filo di perle abbandonato a terra suggeriscono una passione conturbante. Allora è però abbastanza da fare della giovanissima Hedy un’icona. Il film di Machatý si scontra ovunque con la censura e il produttore Louis B. Mayer in principio rifiuta di portare l’attrice con sé negli Stati Uniti, considerandola inadatta al gusto puritano del Paese. Non per caso il primo marito di lei, il mercante d’armi Fritz Mandl, che l’attrice sposa poco dopo aver girato Extase, dopo averle proibito di recitare cerca invano di acquisire tutte le copie circolanti. Affascinato dalla bellezza di lei, Mussolini rifiuta però di vendere la sua. Hedy, che non si scrollerà mai di dosso quel ruolo, finirà per rinnegare Extase. Il regista, racconterà, l’ha ingannata usando teleobiettivi potentissimi per filmare in close up scene che lei credeva destinate a restare sfocate in ultimo piano. Audace e sensuale per la sua epoca, il film suscita grande clamore alla presentazione a Venezia nel 1934 e Machatý è premiato con la Coppa della Città di Venezia come miglior regista. Bollato successivamente da papa Pio XI come pornografico e pieno di parabole immorali, Extase è stato proiettato in Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e in altri cinquanta paesi in tutto il mondo. Restituito finalmente alla versione originale in lingua ceca sia nelle immagini sia nel suono, dopo le numerose interpolazioni editoriali e i tagli della censura, il film è ancora oggi denso di spunti e sorprese. Rivederlo in sala è tornare a un tempo che oggi appare quasi innocente. Nel flusso d’immagini che ormai bombarda senza tregua le nostre vite è difficile immaginare che lo splendore acerbo di Hedy abbia fatto tanto scalpore. Eppure basta immergersi in quelle scene per sfiorare la verità impalpabile del desiderio in tutta la sua scandalosa innocente purezza.
d.g
La febbre del petrolio
“Colossal è la parola giusta: scazzotate, petrolio in fiamme e la bellezza di Lamarr che incendia la schermo”. Così la rivista Screenland descrive Boomtown – La febbre del petrolio (1940). Diretto da Jack Conway, il film racconta le avventure di due improvvisati petrolieri portando in scena un quartetto d’eccellenza: Clark Gable, Spencer Tracy, Claudette Colbert e Hedy Lamarr. Quest’ultima, da poco a Hollywood, ha un ruolo minore ma subito si fa notare – di per sé un’impresa a fianco di colleghi così celebri.
La storia, la prima che Clark Gable gira per Mgm, è ambientata in Texas nel 1919 nel pieno della febbre del petrolio e s’ispira a un articolo di James Edward Grant, “A Lady Comes to Burkburnett”, uscito su Cosmopolitan.
I protagonisti “Big John” McMasters (Clark Gable) e “Square John” Sand (Spencer Tracy) s’impadroniscono dell’equipaggiamento di un altro cercatore e iniziano a scavare un pozzo. Seguono traversie di ogni genere mentre i due amici si innamorano della stessa donna (Claudette Colbert), litigano e fra alti e bassi infine si riconciliano. Hedy Lamarr, nel ruolo di consulente addentro nel mondo degli affari e nell’alta società, è la sirena che con il suo fascino rischia di mettere in crisi il matrimonio di Mc Masters. Accusato da certa critica di ripetitività, soprattutto nella parte ambientata sulla costa, La febbre del petrolio è stato il maggior successo al box office di Mgm nel 1940. L’unico film con Clark Gable che fino allora aveva venduto più biglietti era stato Via col vento.
Vieni a vivere con me
Una giovane rifugiata cerca un americano da sposare. Non sogna l’amore, ma un permesso di soggiorno. Ed è una corsa disperata contro il tempo perché nel giro di una settimana l’attende l’espulsione. È il plot più attuale che si possa immaginare, se non fosse che Come Live with Me – Vieni a vivere con me è stato girato nel 1941. La giovane è Johnny Jones- Hedy Lamarr, scappata da Vienna dopo l’annessione nazista.
Virato sui toni della commedia, il film diretto e prodotto da Clarence Brown mette in scena una storia che il pubblico allora non sa bene come classificare. Johnny, come altri personaggi interpretati da Hedy Lamarr, è una donna indipendente. Ha una relazione con un uomo sposato, l’editore Barton Kendrick, ma per sfuggire alla deportazione sposa Bill Smith (James Stewart), uno scrittore di scarso successo che incontra in un diner in una sera di pioggia.
Per questo la donna lo paga e due mesi dopo lo scrittore è impegnato a scrivere la storia della sconosciuta che ogni settimana lo incontra per consegnargli il dovuto.
L’editore, con cui la relazione continua, non sa nulla dell’accordo. Lo scopre solo quando lo scrittore invia il libro alla sua casa editrice e la moglie comprende quanto sta accadendo. Mentre infuriano venti di divorzio la bella Johnny finisce per scegliere, questa volta per davvero, l’uomo che ha sposato per convenienza ma ha imparato ad amare.
Ispirato a un romanzo di Virginia Van Upp, il film è una sorta di Green Card (1990) ante litteram. Se il film di Peter Weir rovesciava i ruoli con un francese (Gérard Depardieu) che per ottenere la residenza sposava una bellissima giardiniera americana (Andy McDowell) e se ne innamorava, Vieni a vivere con me ribalta le convenzioni per la disinvolta libertà con cui Johnny-Hedy Lamarr decide della sua vita e dei suoi amori.
Il molto onorevole Mr. Pulham
Harry Moulton Pulham Jr. è un uomo d’affari della buona società di Boston. Di mezza età, vive un matrimonio piacevole anche se privo di passione e ama il conforto delle sue abitudini. Finché un giorno, mentre organizza una riunione con i compagni di college, gli torna in mente che non è sempre stato così. In un vorticoso flashback la memoria lo riporta al tempo in cui, vent’anni prima era appena uscito da Harvard, lavorava a New York in un’agenzia pubblicitaria ed era innamorato di una vivace e indipendente collega, Marvin Miles – Hedy Lamarr.
Da qui a cercarla, il passo è breve. I due si ritrovano e le scintille di nuovo scoccano. Interpretato da Robert Young e diretto da King Vidor, Il molto onorevole Mr. Pulham (1941) è considerato uno dei capolavori dimenticati del regista.
Costruito intorno ai ricordi di Harry, il racconto s’inoltra nel territorio friabile di ciò che poteva essere, fra il rimpianto di una vita non vissuta perché troppo diversa da quella segnata dalle aspettative della famiglia e il sogno di emozioni più vive e vere.
In quella che molti critici considerano l’interpretazione migliore della sua carriera, Hedy Lamarr dà vita a un personaggio di donna interessante e non banale. Quando lei e Harry si incontrano, la tentazione di ritrovare il passato è palpabile. Ma quando lei riceve una telefonata si capisce che, come lui, è sposata. Basta perché entrambi comprendano che tornare indietro è impossibile. Il finale è dolce amaro e aperto alle interpretazioni. Dopo aver salutato Marvin, Harry incontra la moglie che lo sta cercando. Vuole passare qualche giorno con lui, come l’uomo ha proposto quella mattina. Lui finisce per farsi convincere e in qualche modo, alla fine, sembra felice. Distribuito dalla Metro-Goldwyn-Mayer, il film è uscito negli Stati Uniti con il titolo H. M. Pulham, Esq. il 18 Dicembre 1941. È arrivato in Italia solo nel secondo dopoguerra, nel 1948, con il titolo Il molto onorevole Mr. Pulham.
Sansone e Dalila
Considerato il capolavoro di Cecil B. DeMille, Samson and Delilah – Sansone e Dalila (1949) segna l’apice della carriera di Hedy Lamarr, qui nei panni della femme fatale che taglia i capelli all’eroe privandolo così della sua forza.
All’epoca De Mille ha alle spalle trent’anni di esperienza cinematografica e ha già girato colossal come I dieci comandamenti (1923) e Cleopatra (1934). È uno dei rari registi capaci di mettere d’accordo pubblico e critica e Sansone e Dalila non fa eccezione.
Il film sbanca il botteghino e colleziona recensioni entusiastiche, malgrado un’accusa di oscenità per certe scene di sesso e sangue. Il regista, che dovrà difendersi in tribunale, l’aveva invece immaginato come “la più grande storia d’amore di tutti i tempi”.
Ispirata al libro dei Giudici, la pellicola ha una gestazione di quasi quindici anni. De Mille segue nel dettaglio la costruzione della storia e le ricerche. Per individuare Dalila studia i dipinti di Rubens, Doré e Rembrandt che la rappresentano. La vuole pericolosa, vendicativa e al tempo stesso accogliente, morbida. Soprattutto, la vuole moderna.
Assume un illustratore perché le dia un volto e per drammatizzare la trama acquista i diritti del romanzo storico Samson the Nazirite (1927). L’autore è Vladimir (Ze’ev) Jabotinsky, qui nei panni di scrittore, che nell’intreccio biblico innesta il suo ideale di una vita ebraica diversa, capace di osare e combattere.
“Non abbiamo cambiato nulla nella Bibbia”, preciserà De Mille in un’intervista. L’unica modifica, dirà, è stato dare un nome alla figlia più giovane del suocero di Sansone. “Nella Bibbia non ha nome e l’abbiamo chiamata Dalila. […] La Bibbia la presenta più tardi come la donna che Sansone amava. Poteva essere la sorella più giovane”.
Per la parte, De Mille considera decine di attrici, da Ava Gardner a Vivien Leigh. Finisce per scegliere Hedy Lamarr – ebrea come sua madre. Hedy, dirà, “è una gazzella, incapace di mosse goffe o sbagliate”. Lei, con civetteria, nelle interviste lo definirà il suo Sansone (al suo fianco nel film c’è invece Victor Mature). La sua interpretazione di Dalila conquisterà critici e spettatori sia negli Stati Uniti sia in Europa e la consegnerà alla leggenda del cinema.
La sirena del Congo
È il produttore Louis B. Mayer che l’ha lanciata in America a volere Hedy Lamarr fra i i protagonisti di White Cargo – La sirena del Congo. Nel film, girato nel 1942 e diretto dal regista di Tarzan Richard Thorpe, l’attrice affronta uno dei ruoli più sconcertanti della sua carriera. Ambientato in un’isolata ma fiorente piantagione del Congo, il racconto porta sullo schermo le tensioni scatenate fra gli occidentali che lavorano lì dal ritorno di una bellissima donna del posto. La maliarda è Hedy Lamarr, qui con la pelle più scura nella parte dell’indigena Tondelayo. Mezza egiziana e mezza portoghese – nel lavoro originale era nera ma la censura americana del tempo non lascerebbe mai passare una relazione interrazziale – la donna accende passioni devastanti. “Ho pensato che con un po’ di trucco che attira l’attenzione, un sarong e qualche oscillazione dei fianchi, avrei creato una memorabile ninfomane”, taglierà corto lei nell’autobiografia. Ma quello strato di cerone sulla sua pelle candida rischia di renderla ridicola, come le riprese con la pelle che luccica d’olio al chiaro di luna. I luoghi comuni e gli stereotipi coloniali si sprecano eppure, quasi per miracolo, ancora una volta il fascino di lei finisce per trionfare.
Le fanciulle delle follie
A New York sono tante le ragazze che sognano di esibirsi nel nuovo spettacolo di Florence Ziegfeld, ma solo poche però ce la fanno e non a tutte il destino riserva il lieto fine. Considerato dall’American Film Institute fra i migliori musical della storia del cinema, Ziegfeld Girl – Le fanciulle delle follie, diretto del 1941 da Robert Z. Leonard, schiera nella parte di aspiranti soubrette tre attrici di grande richiamo – Hedy Lamarr, Judy Garland e Lana Turner. Fra i protagonisti maschili, James Stewart e Tony Martin.
Ambientato nel 1920, il film ci porta dietro le quinte delle Ziegfeld Follies in un ideale sequel di The Great Ziegfeld (1936) con Mirna Loy di cui riprende alcune sequenze coreografiche. Hedy Lamarr, che qui spicca per scarsa trasgressività, è Sandra, una bellezza europea che accompagna il marito violinista a un’audizione per l’orchestra dello show.
Quando lui è respinto perché troppo qualificato, per mantenere la famiglia lei si inventa showgirl e diventa presto protagonista dello spettacolo. A condividere il palco, la giovanissima Susan-Judy Garland, meno bella delle sue colleghe ma dotata di straordinario talento musicale, e Sheila, originaria di Brooklyn che fino a poco prima lavorava come ascensorista. Sandra-Hedy Lamarr supera l’iniziale attrazione per il coprotagonista e finisce per seguire il marito in tournée, Sheila invece affonda nell’alcol ed è licenziata. Sarà Susan-Judy Garland a diventare la star delle Ziegfeld Follies, non prima di aver trovato un posto in teatro al suo anziano padre. Il destino delle tre donne si snoda sullo sfondo di una coreografia sfavillante e mai come in questo film Hedy Lamarr si mostra nello splendore della sua eleganza.