Il dossier di Pagine Ebraiche
Primo, il torinese cittadino universale
“I biografi di Primo Levi, dal miglior al peggior intenzionato, sembra vadano sempre a finire nella scala di casa sua. Cominciano e finiscono lì il loro discorso. Se dovessi parlare della sua casa io mi limiterei a citare le parole che lui stesso scrive in L’altrui mestiere: ‘Abito da sempre (con involontarie interruzioni) nella casa in cui sono nato’”.
Non ama limitare Primo Levi alla geografia o a un luogo specifico il consulente letterario Domenico Scarpa, tra le colonne del Centro internazionale di Studi Primo Levi di Torino. Per Scarpa l’importante è il pensiero intellettuale del grande scrittore, non la collocazione sulla mappa della città del suo vissuto. Non che non abbia significato, afferma il ricercatore che assieme a Roberta Mori ha curato l’Album Primo Levi (Einaudi) “per rendere finalmente visibili dei fatti, dei luoghi, delle persone legate a Levi ma tenendo in conto che al centro ci sono l’opera e l’esperienza dello scrittore”.
Nell’Album è indicata una cartina che indica alcuni dei luoghi di Levi a Torino: dalla casa alla scuola elementare, dal negozio del nonno materno al liceo D’Azeglio, dalla sinagoga all’istituto di chimica. Torino fu il centro di partenza della storia leviana, ne influenzò la vita, come si racconta in queste pagine, ma – ammonisce Scarpa – sarebbe sbagliato circoscrivere il suo lavoro a una città. “È chiaro che Levi per come è, per come si è sviluppato, proprio per questa sua sedentarietà involontariamente interrotta non te lo riesci a immaginare in un luogo che non sia Torino – spiega Scarpa – Tu non puoi che partire da un punto preciso e concreto, poi però dove ti dirigi, il punto che vai a toccare non sta scritto da nessuno parte. O meglio lo devi scrivere tu ed è quello che ha fatto Levi: se lo è costruito lui il punto di arrivo ed è universale. D’altra parte questo è vero per tutta la letteratura che conta: avere delle radici locali fortemente individuate e talmente approfondite, vissute da diventare universali. Così è Levi”.
Nonostante per Scarpa i luoghi di Levi, quando si parla di Torino, siano meno centrali, ne individua comunque due rappresentativi: “l’aula di chimica e la biblioteca: perché sono il luogo di una scelta, mentre la casa in cui nasci ti capita. Quando vai all’università invece scegli consapevolmente dove andare; è il luogo della vita adulta e il luogo della formazione, è il luogo in cui decidi di essere qualcosa. E tra l’altro decidi di esserlo fra mille ostacoli nel caso di Levi, perché avrebbe voluto fare una tesi ma i professori non lo presero perché c’erano le leggi razziali”. Tornato da Auschwitz, Levi sceglie subito con coraggio, come noto, di raccontare la propria tragedia. “Si recherà alla Comunità ebraica di Torino e di Roma per raccontare di persona lo sterminio”, spiega Scarpa.
L’ebraismo torinese – che ha il suo cuore nella sinagoga di San Salvario nella Piazzetta oggi intitolata proprio a Primo Levi – è così tra i primi ad ascoltare la sua testimonianza. Laico ma profondo conoscitore delle tradizioni, Levi avrà un rapporto con la Comunità in particolare attraverso il giornale HaKeillah. “Caratteristica come scelta: non il giornale più consolidato, ortodosso ma quello fatto da giovani in prevalenza liberal e laici, coerente con il suo modo di essere”. Tornando alla torinesità di Levi, Scarpa ricorda l’impronta della città industriale nei lavori come La chiave a stella e Il sistema periodico. “Due libri in cui Levi si inventa linguaggi nuovi, a partire dalla sua città ma anche qui rendendoli universali. Non è un caso se Claude Lévi-Strauss apprezza enormemente La chiave a stella”.
Per la capacità di Levi di inventarsi un personaggio, Faussone l’operaio torinese specializzato, che va ben al di là della città. Come tutta la sua letteratura, che dal particolare svela l’umanità, senza confini geografici.
Pagine Ebraiche settembre 2019, Dossier Primo Levi a Torino
(12 settembre 2019)