Machshevet Israel
De scientia hominis
Alla Biblioteca Casanatense di Roma si trova un incunabolo del Morè nevukhim, La guida dei perplessi di Maimonide, dove nella terza parte, al capitolo XVI, la mano di un dotto lettore ha aggiunto, accanto all’ebraico, l’espressione latina ‘de scientia dei’ probabilmente vergata da un non ebreo, forse cristiano (suggerisce il semitista Marco Bertagna che ha studiato l’incunabolo). Costui l’ebraico doveva conoscerlo, dato che quel capitolo affronta proprio il problema di cosa Dio conosca del mondo – “di ciò che è diverso da Lui” – e se e come si occupi di tale mondo: scienza e provvidenza infatti in Dio non possono che coincidere. L’accesa polemica maimonidea contro l’idea filosofica del deus otiosus (che non si cura del mondo) è ripresa, dice il traduttore in italiano della Guida Mauro Zonta z”l, da Alessandro di Afrodisia, noto al Rambam attraverso il suo De Providentia tradotto in arabo da Abu Bishr Mittà ibn Yunus. Questo succedeva quando i dotti di diverse fedi si leggevano gli uni con gli altri… Ma continuando nel capitolo della Guida si scopre che questa provvidenza divina si ‘deposita’, per così dire, sugli esseri umani in ragione della loro disponibilità ad accoglierla, nella misura delle loro disposizoni interiori, dell’educazione e dell’esercizio intellettuale (così nel cap. XVIII). Man mano che si avanza si scopre che il Rambam è più interessato alla ‘scientia hominis’ che alla ‘scientia dei’.
Dice Abraham Joshua Heschel: “È un fatto accertato che la Bibbia ha fornito al mondo una concezione nuova di Dio. Quello di cui non ci si rende conto è il fatto che la Bibbia ha fornito al mondo anche una nuova visione dell’uomo. La Bibbia non è un libro su Dio, è un libro sull’uomo. Nella prospettiva biblica l’uomo è un essere in travaglio, ma che ha i sogni e i disegni di Dio: il sogno divino di un mondo redento, della riconciliazione tra cielo e terra, di un’umanità che sia veramente a Sua immagine, che rispetti la Sua saggezza, giustizia e misericordia” (da Chi è l’uomo?, Rusconi, Milano 1971, p.168). Ai miei studenti ripeto spesso che gli insegnamenti della Torà sono soprattutto istruzioni per un corretto uso del mondo e che al centro delle più significative riflessioni ebraiche non stanno idee teologiche ma idee antropologiche. Ragionando sul Neghev e sul miracolo della chalutziut ovvero il pionierismo, l’allora capo del governo israeliano David Ben Gurion ha scritto che “lo strumento più meraviglioso e più potente, per mezzo del quale l’uomo acquista il dominio sulla natura, è l’uomo stesso. Le potenzialità insite in questo essere meraviglioso non trovano parallelo in tutti i complessi e a loro volta stupendi strumenti meccanici [tecnologici] che l’uomo ha creato. È soltanto grazie all’intuitiva comprensione delle latenti possibilità dell’uomo – che noi chiamiamo chalutziut – che siamo riusciti nella nostra impresa in questo Paese (…) chi avrebbe mai creduto, decadi or sono, che gli ebrei, per secoli costretti a vivere in città e per generazioni estranei alla fatica manuale e al lavoro dei campi, sarebbero diventati i costruttori di un Paese?” (da La sfida di Israele. Come è nato lo stato ebraico, Castelvecchi, Roma 208, p.156). Non è vietato ai politici fare incursioni nella sfera intellettuale, se hanno cose intelligenti da dire.
La fede nell’uomo, come filo ininterrotto che parte dalla stessa rivelazione sinaica, unisce e lega l’antropologia maimonidea al neo-chassidismo di Heschel e al sionismo di Ben Gurion. “Sogno di Dio – continua Heschel – è di non essere solo, ma di avere il genere umano come compagno nel dramma della continua creazione. Qualunque cosa facciamo, qualunque atto compiamo, noi [esseri umani] favoriamo od ostacoliamo la redenzione, riduciamo o accresciamo il potere del male”. “Non è la natura, che rimase immutata per milioni di anni – è ancora l’opinione di Ben Gurion alla fine degli anni Cinquanta – ma l’ardente spirito degli uomini che ha trasformato la faccia del globo. L’uomo con la forza del suo pensiero e l’audacia del suo spirito estende il proprio dominio sulla natura, ne rivela i segreti, la subordina ai propri bisogni spirituali e materiali” (da La sfida di Israele, p.162). Oggi, tuttavia, quella stessa forza e audacia vanno usati per frenare gli eccessi del dominio umano e rendere meno distruttivi gli stessi bisogni umani.
Chi non ricorda il famoso midrash sulla creazione dell’uomo: mentre gli angeli in cielo discutevano se la presenza dell’essere umano nel mondo sarebbe stato un bene o un male per il resto della creato, in terra il Creatore lo creò. E la conclusione fu: dal momento che è stato creato, ora vigili su se stesso. È l’equivalente ebraico del gnothi seautòn, l’imperativo “conosci te stesso” che stava scritto in greco sul frontone dell’oracolo di Delfi, con un plus di etica.
Massimo Giuliani, Università di Trento
(12 settembre 2019)