Nazionalismo e sovranismo
Può essere utile cercare di chiarire le differenze di significato storico che esistono tra nazionalismo e sovranismo e perché sul versante destro della politica italiana (ma anche europea) si preferisce oggi usare il termine “sovranismo” anziché quello, più tradizionale, di “nazionalismo”, anche se, a prima vista, le due tendenze appaiono sovrapponibili.
Il nazionalismo è stato molto di più che una linea politica: è stato una cultura che ha dominato l’Europa per quasi un secolo a partire dalla guerra francoprussiana del 1870 e che ha esaurito la sua spinta solo con la Seconda guerra mondiale, salvo poi riapparire – ma con ben minore capacità espansiva – in alcune aree periferiche del continente.
A lungo si è discusso sul rapporto tra spirito di nazionalità – che ha caratterizzato la cultura di alcuni Paesi come l’Italia, la Grecia, la Romania che non avevano raggiunto l’unità politica fino al XIX secolo oppure l’avevano perduta, come la Polonia – e nazionalismo, che ha trovato i suoi luoghi di elezione in Paesi come la Francia, che l’unità politica l’aveva raggiunta da secoli, e la Germania che si era unificata nel Reich solo nel 1871 ma che aveva avuto, almeno dall’età napoleonica se non da prima, un punto di riferimento nazionale nello Stato prussiano. Resta il fatto che all’inizio del XX secolo il nazionalismo costituisce la cultura dominante delle classi dirigenti e l’internazionalismo del proletariato, organizzato dai partiti socialisti e dai sindacati, non riesce a contrastarlo efficacemente come si vide con lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914.
Nemmeno la tragedia della Prima guerra mondiale riuscì a rovesciare la cultura nazionalistica dominante anzi, per certi aspetti la rafforzò, incoraggiando la tracotanza dei Paesi vincitori e le spinte revansciste di quelli sconfitti, con l’appendice dell’anomalia italiana che, Paese vincitore, coltivò il suo spirito nazionalistico con l’insensato slogan della “vittoria mutilata”. Gli anni ’20 e ‘30 vedono un crescente successo dei partiti e dei movimenti che si ispirano alla cultura nazionalistica, e che alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale hanno il controllo politico, con poche eccezioni, dell’intero continente.
Solo l’immane tragedia della Seconda guerra mondiale – perfino superiore a quella del precedente conflitto – porta al crollo della cultura nazionalistica, un crollo favorito anche dall’affermarsi, come potenze egemoni, di Stati che hanno una dimensione extra o sovra-europea, come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
L’Europa si risveglia dall’incubo della guerra e del nazismo – manifestazione estrema del nazionalismo egemone tra le due guerre – apparentemente guarita dal virus nazionalistico e disposta a percorrere una strada diversa che porti non solo a superare le vecchie controversie ma, soprattutto, a far propria una diversa cultura fondata sul riconoscimento di comuni radici e di comuni valori. La spinta verso l’unificazione europea ha questo fondamento e non appare soltanto un’operazione politica voluta da alcuni partiti, ma qualcosa che ha solide basi in un sentimento popolare diffuso in tutta Europa. Le vicende della “guerra fredda” incrinano ma non distruggono il diffuso sentimento di vivere in un’età nuova, non più caratterizzata dalla guerra come strumento ordinario per risolvere le controversie internazionali, ma dal tentativo di costruire organizzazioni internazionali capaci di risolvere le crisi attraverso trattative e mediazioni. La crescita economica che caratterizza l’Europa postbellica favorisce tale tendenza e il lungo periodo di pace che segue il 1945 favorisce in maniera crescente la reciproca conoscenza e il superamento degli antichi stereotipi e fa apparire, soprattutto tra le generazioni più giovani, del tutto incomprensibile la cultura nazionalistica delle generazioni precedenti.
L’attuale sovranismo rappresenta un ritorno al tradizionale nazionalismo? Credo che si possa rispondere di no, soprattutto per una ragione: il sovranismo è una posizione politica – nata per cause contingenti – e non rappresenta una cultura diffusa. D’altra parte sarebbe assai difficile immaginare un ritorno alla cultura nazionalistica del XX secolo in un mondo dove i giovani di tutta Europa comunicano tra loro più per mezzo di una sorta di pidgin-english che usando la propria lingua materna, dove il turismo di massa mescola continuamente persone di ogni età e di ogni Paese facendo venir meno gli antichi stereotipi e mettendo in evidenza una standardizzazione dei comportamenti che ignora i confini nazionali.
Il sovranismo è una posizione politica legata a diversità di valutazioni sul ruolo delle istituzioni europee rispetto a quelle nazionali, soprattutto in materia di politiche monetarie e commerciali: sono questioni importanti ma non capaci di scaldare i cuori e di agitare gli animi come era capace di fare il nazionalismo novecentesco. È una posizione politica che caratterizza alcuni Paesi ma non è diffusa su tutto il territorio europeo o almeno assume caratteristiche diverse a seconda delle diverse aree geopolitiche. Il sovranismo dei Paesi dell’Est europeo, ad esempio, è nato in gran parte come reazione alla negazione della propria autonomia nazionale calpestata per decenni dall’Unione Sovietica; ma non mette in discussione il rapporto con l’Europa, come appare chiaro dalla politica dei Paesi del Patto di Visegrád.
C’è un solo tema che potrebbe catalizzare una reazione condivisa a livello europeo di tipo nazionalistico ed è quello dell’immigrazione di massa. Nonostante che questo tema sia stato assunto come cavallo di battaglia un po’da tutti i partiti sovranisti europei, finora, nonostante tutto, non è riuscito a imporsi come tema condiviso di una nuova cultura di stampo nazionalistico. Tuttavia la possibilità esiste ed è su questo tema che si giocherà nei prossimi anni la battaglia per l’identità europea.
Valentino Baldacci
(12 settembre 2019)