Jona, il medico dei poveri
Anniversari. Il 16 settembre 1943, un mese esatto prima della razzia nazista a Roma, il presidente della Comunità ebraica di Venezia, Giuseppe Jona, si suicidò. Si diffuse subito la voce che Jona si fosse suicidato, dopo averli distrutti, per non consegnare ai nazisti gli elenchi degli iscritti alla Comunità che gli erano stati chiesti. Non ci sono prove che confermino questa versione, rimasta prevalente nella memoria. È comunque possibile che Jona fosse stato convocato dai nazisti per ottenerne la collaborazione, come avveniva nei ghetti in Polonia. Ma il fatto che già pochi giorni dopo l’occupazione questa fosse l’interpretazione data a Venezia del suicidio di Jona è indice dell’allarme diffuso nel mondo ebraico italiano e delle preoccupazioni suscitate dal fatto che i nazisti potessero impadronirsi degli elenchi comunitari, oltre ad avere già in mano quelli del censimento aggiornati al 1942.
Giuseppe Jona era un uomo molto amato e stimato. Nato nel 1866, quindi ormai vecchio nel 1943, medico, fu un primario ospedaliero innovativo e uno scienziato illustre. A Venezia, creò un ambulatorio gratuito per i poveri della città, tanto che fu chiamato “il medico dei poveri”. Laico e libero pensatore, fu chiamato nel 1940 dal rabbino Ottolenghi a dirigere la Comunità proprio per la stima che lo circondava e si impegnò con tutte le sue forze a guidarla nel clima sempre più buio di quegli anni. Il suo suicidio non volle essere un cedimento, ma una scelta di resistenza. Non poté avere funerali pubblici, ma i suoi colleghi si radunarono in silenzio nel cortile dell’Ospedale e i gondolieri che aveva curato gratuitamente sfilarono sempre in silenzio nei canali. Questo era l’uomo che si tolse la vita pochi giorni dopo l’occupazione, mentre ancora tanti, nel mondo ebraico, speravano che nulla sarebbe successo qui in Italia.
Anna Foa, storica
(16 settembre 2019)