L’UCEI che vorrei
Prima riflettere, poi discutere, infine decidere. Le ovvie regole qui sopra sono confinate, nell’archivio del Tempo, nelle crudeli ramanzine delle maestre malvagie, quelle di una volta, quando le berciavano ai penitenti e sbalorditi scolari, immobili, a capo chino e orecchio assordato.
Ancora rintronato, rifletterò sulla base della lettura quotidiana dei giornaloni e delle rassegne-stampa dei giornali, giornalini e giornalacci. Chiacchiere da caffèsport? Non del tutto, perché molta importanza avrà la stampa, su carta e in rete, di bimestrali come Hakeillah e dei periodici dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Liberi e cognitivi.
Con grande modestia mi riferirò a: me stesso, la mia famiglia, la Comunità ebraica di Roma, quella di Torino che conosco bene, l’UCEI, gli ebrei europei e quelli del mondo. Modestia a parte, a Israele ho già dedicato un capitoletto pubblicato su Pagine Ebraiche del numero di settembre.
Una domanda non retorica: per quale motivo non si è finora costituita una vera e propria Organizzazione Mondiale Ebraica? Della quale si parlò, a quanto mi risulta, solo al Teatro Adriano di Roma in Piazza Cavour in un lontano pomeriggio del 1944? (Sono a disposizione di chi volesse ulteriori dettagli). Organizzazione tanto più necessaria oggi che esiste un, relativamente potente, e straordinariamente prepotente, Stato di Israele che però non rappresenta, né può rappresentare la Diaspora? Oggi che di tanto in tanto salta di nuovo fuori il vecchio mito del complotto mondiale ebraico, questa volta al comando del finanziere Soros? Nel 1948 gli israeliani volevano, niente po’ po’ di meno che, Albert Einstein come Presidente di uno Stato tanto esile da sembrare sulla carta geografica a malapena una clessidra. Adesso servirebbe Soros come Presidente degli ebrei del mondo, Soros, lo spaventa-uccellacci del malaugurio.
Sì, ci sono organizzazioni mondiali ebraiche, ma di parte: quella sionistica (piuttosto progressista, però ormai superata dalla Storia come il Risorgimento Italiano), Jcall, Jstreet… Alle quali aderisco anch’io con fervore: mandano appelli da firmare. Esistono poi vociferazioni come quelle degli ebrei ortodossi israeliani che, per via rabbinica, stabiliscono chi è ebreo e chi no in Israele e nel mondo e che non è kasher il carciofo alla giudìa.
Mi è stato insifflato da un mio amico rabbino che, in quel d’Israele, gli ebrei in Italia sono guardati dai polacchi di laggiù con sospetti di non ebreanza. Queste allusioni sono volutamente scherzose per alleggerire la tensione fra ebraismo laico e democratico ed ebraismo religioso, che, come vedremo, costituisce da parecchio tempo, il nodo gordiano del Giudaismo (e mi scuso per il nodo pagano, inopportuno e risaputo).
Negli accordi vigenti con lo Stato italiano gli ebrei costituiscono un’entità religiosa ortodossa (piccolissima). Dunque, io sono un ortodosso che prende la Metro di Shabbath. Non intendo porre in discussione queste realtà, ma solo fare qualche buffo esempio di riflessione. Non vanno discusse perché costituiscono gli effetti ultimi di fenomeni interni alla storia dell’ebraismo, assai grandi, come: particolarismo e universalismo, nazionalismo e internazionalismo, localismo e cosmopolitismo. Giuseppe Flavio convinse con astuzia a suicidarsi con lui gli Zeloti nascosti in una caverna durante la Guerra Giudaica del 70 d.C. Lui però non si suicidò manco per niente, saltò fuori e si arrese alle truppe romane. Dico: Giuseppe Flavio, dico: Giuseppe Flavio, lui fu dunque solo un vile traditore? E le relazioni interne al popolo ebraico erano così corali e unitarie come sembra propagandare l’arco di Tito? E il correlato racconto, pompato, della presa di Gerusalemme?
Come ebreo, come ebreo ortodosso, ma anche come cittadino italiano, provo repulsione quando un tipaccio come Salvini sbaciucchia per ostentazione il suo rosario. Leggo con sollievo e di frequente che l’Unione si appella alla laicità dello Stato alla quale anch’io tengo moltissimo per motivi spirituali non rivoluzionari, ma, santocielo!, anche di buonsenso. A ogni religione di minoranza conviene, eccome, che lo Stato sia il più laico possibile! Perciò mi identifico con decennali lamentele: per i crocefissi nei luoghi pubblici e per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali.
Nella politica diasporica, occorre dunque schierarsi dalla parte di partiti laici, liberali, socialdemocratici, liberalsocialisti, mai sovranisti, mai populisti? Questo sempre più indispensabile inquadramento politico non è forse ancora condiviso da tutti i correligionari, ma torneremo a suo tempo su questo argomento: spero di no, ma temo di sì, che gli schieramenti italiani, e non solo, possano farsi in futuro più incisivi e ostili l’uno all’altro su questo e altri argomenti. Da quando ho scritto la frase precedente si è svolto il migliore agosto della mia vita e, siccome sono irriducibilmente ottimista, spero che la fase sia superata. O no?
Da qualche anno le Comunità risultano marezzate da gruppetti riformati o conservative, ma, a quanto sembra, quelli che li frequentano continuano a versare le tasse alle Comunità ufficiali (ortodosse), e a utilizzare i servizi comunitari, dalla milah alla sepoltura, senza gravi obiezioni né particolari imbarazzi da parte di nessuno.
Anche coloro che non fanno parte dei club riformati o conservative, ma non sono osservanti o lo sono solo in modo personale perché accendono la caldaia di Shabbath senza rimorso né collaboratrice domestica, restano tuttavia attaccati alle loro amate Comunità, versano le tasse e usufruiscono dei servizi.
In un tempo lontano lontano il grande Rabbino Elio Toaff mi confidò che di fatto gli ebrei italiani erano conservative che si autodefinivano ortodossi. È la verità. Lo giuro sul mio onore e sbaciucchio le sette canne della Menorah.
La vita comunitaria si ispira dunque al laissez faire, laissez passer? Forse perché conviene che, in questa fase di lenta estinzione demografica, si limitino al massimo le grane? Gli ortodossi per decreto ma non di fatto cercano di non provocare scontri fatali come per esempio la richiesta di legittimazione comunitaria di pratiche non ortodosse.
Per la verità, di tanto in tanto, qualche diverbio rompe all’improvviso la calma piatta: vietato frequentare Chiese o Cappelle anche se invitati; diritti civili solo sì quelli che sì e no quelli che no; orrore dei matrimoni riformati, anche di quelli non misti e non omo; si deve scriver D.o ignorando che Diòs è, in greco, il genitivo di Zèus e connota la professione e non il nome YHWH… Poi le querelle lentamente si placano.
“Lenta estinzione dell’ebraismo italiano”, avevamo detto poco fa? Ma, se è sopravvissuto all’assimilazione del XIX secolo e poi alle persecuzioni del XX, sopravvivrà anche alle bizzarre difficoltà del futuro. Ne sono certo. Quasi.
L’assimilazione costituì una grande svolta positiva, positiva certo ma non priva di seri inconvenienti e, come sappiamo, gravida di conseguenze funeste. I più vecchi fra di noi hanno potuto ascoltare la famosa tiritera: ”Quant’era bello vivere nel vecchio Ghetto!”.
L’apertura dei ghetti e le libertà civili indussero un certo allontanamento dalle pratiche religiose, un’assuefazione alla cultura e alla sottocultura italiana, e di conseguenza un affievolirsi di quella ebraica. Molti, allievi di scuole pubbliche, non riuscivano a seguire la tefillah e la Torah, perché non erano più in grado di leggere l’ebraico, neppure con i segni vocalici. Si ridussero ai minimi termini le cerimonie famigliari che costituiscono il cuore caldo della nostra tradizione. Le Sinagoghe, i Beth hakenneseth, le Schole divennero in Occidente Templi. Templi immensi, fastosi, moreschi e dorati, che ostentavano la nuova, pomposa, identità ebraica agli ebrei stessi e soprattutto agli altri, con imprudenza. (a Torino abbiamo evitato per un pelo la Mole Antonelliana come luogo di ritrovo di judim). Aumentarono le differenze fra ebrei askenaziti e sefarditi anche perché quelli askenaziti parlavano ancora quella lingua germanica dotata di grande letteratura che era l’Yiddish.
Per parte sua l’antisemitismo si rinnovò in nuove forme e molti pensarono di poter sembrare meno ebrei per meglio progredire nelle ambite carriere. Le conversioni di convenienza e i matrimoni misti diventarono pessime vie di fuga dall’ebraismo. Può servire da esempio in Europa la conversione nell’800 di intere famiglie, come quella di Karl Marx, e, nel ‘900, del compositore Arnold Shoenberg che poi rientrò nell’ebraismo per protesta contro le persecuzioni nazifasciste. Poi in Italia si dovette constatare quanto a poco servisse farsi goim, e anche iscriversi al Fascio…
Durante l’epoca delle persecuzioni e della Shoah, vi fu in Italia un’adesione crescente alla lotta contro il fascismo, e poi la partecipazione di molti giovani alla Resistenza armata. I legami con la tradizione divennero parte della lotta quotidiana per la sopravvivenza senza mai abdicare alla propria identità: al Sabato il Tempio pullulava di atei in talleth. Quelli di noi che hanno avuto la poco invidiabile fortuna di vedere la Shoah vengono chiamati sopravvissuti e ci prendono le pensioni di guerra… Secondo la mia dottrina, da non raccontare ai goim, e nemmeno ai rabbini, la Shoah ha trasformato l’ebraismo e annullato quasi tutte le mitzvoth, salvo quella di non rubare i nidi con gli uccellini, di soccorrere il cavallo caduto sotto le stanghe e poche altre, dieci mi sembra, ma potrei sbagliarmi.
Antonio Gramsci, negli anni Venti del ’900, scriveva che, avendo gli ebrei partecipato attivamente al Risorgimento, l’antisemitismo in Italia era divenuto improbabile se non impossibile, mentre nell’800 Karl Marx paventava un’Europa del futuro totalmente ebraizzata no di certo per religione, ma per appartenenza alla classe borghese. Due ipotesi o profezie divergenti (se non altro dal punto di vista della simpatia), entrambe erronee, ma ancora stimolanti.
L’ebraismo europeo che, prima del XX secolo contava dieci milioni di abitanti, è oggi ridotto a un milione settecentomila e quello italiano è sceso da oltre quarantacinquemila a poco più di ventimila. Al contrario delle opinioni di Gramsci e Marx, in Europa Adolph Hitler ha quasi vinto: il vecchio Continente è praticamente judenfrei.
Il calo demografico del già minuscolo ebraismo italiano, dovuto alle emigrazioni, alla aliah, alla denatalità, oltre allo sterminio nazista, è pericoloso perché si sono raggiunti in molte Comunità limiti al di sotto dei quali non è più possibile scendere. Quindi l’Unione dovrà introdurre alcune mitzvoth demografiche: avere molti figli, non censurare i matrimoni misti che qualcuno di nuovo in Comunità talvolta lo portano, accettare le conversioni senza tante complicazioni, previo però controllo del certificato penale, in extrema ratio tornare alla poligamia.
Per meglio individuare le caratteristiche di questo immaginario futuro, anzi presente, bisognerà, d’ora in poi, indossare i vestiti stretti e scuciti di una Unione in parte immaginaria. Mettersi nei suoi panni.
In questa fase di offuscamento delle democrazie e di crescente affermazione di sovranismi e populismi, cioè dell’ignoranza e del semplicismo, l’Unione dovrà opporsi alla discesa agli Inferi. Ma penso che l’esiguità dell’ebraismo italiano consiglierà la ricerca di potenti alleati, e cioè di altre minoranze più grandi della nostra: i Valdesi, gli Islamici, gli Induisti, i Buddisti, gli immigrati di ogni etnia, i Rom, le opposizioni politiche ai governi sovranisti… Mai restare da soli, per la carità!
Vorrei che riflettessimo assieme sul fatto che una parte delle minoranze di cui sopra una volta in Italia non c’erano. L’esiguità dell’ebraismo italiano è anche il riflesso di fattori esterni. Che sono molteplici, fra i quali il globalismo e l’Europa.
Avevo già accennato al ritorno dell’antisemitismo. Si tratta di una patologia ciclica che peraltro oggi trova una situazione nuova. L’Unione non può ignorare che il tabù che ci proteggeva dal 1945 oramai non esiste quasi più. Il tabù caduto consisteva in questo nocciolo di semplicismo parafascista: lasciar stare gli ebrei, loro sono gli unici che si possono lamentare giustamente di Mussolini e di Hitler.
Non vorrei che queste considerazioni e quelle che seguono apparissero come una critica rancorosa al popolo italiano. Gli ebrei nel lungo periodo di 75 anni dalla liberazione di Aushwitz hanno fatto il loro dovere: i sopravvissuti alla Città di Dite ne hanno testimoniato nei processi ai nazisti, ne hanno testimoniato alle genti a voce e per iscritto finché è maturata la coscienza collettiva della epidemia del genocidio. Molto resta ancora da fare, ma il compito può essere svolto dai popoli che hanno compreso questo ambito buio della storia umana. Gli ebrei non debbono tacere, ma adattarsi ai tempi che si annunciano spesso non favorevoli. Adesso però è l’Europa che ci succede nei nostri doveri di sopravvissuti.
Non tutti gli italiani sanno oggi in che cosa consista di preciso l’antisemitismo. Pertanto l’Unione non dovrebbe più rivolgersi troppo di frequente all’opinione pubblica, ma, in caso di antisemitismo criminale, alla Magistratura. Dovrebbe invece essere sempre in prima fila nella denuncia dei fenomeni di intolleranza nei confronti delle altre minoranze. Ogni protesta contro il solo antisemitismo va resa comprensibile alla maggioranza degli italiani alla luce dei valori comuni europei.
Siamo al momento di un riepilogo. All’antisemitismo di destra, quello tradizionale, si aggiunge quello di sinistra, ispirato dall’antisemitismo palestinese, e da quello arabo, che continuo a classificare di destra. Pensateci su, è assai dubbio che l’antisemitismo di sinistra sia così nuovo: basta ricordare la posizione antidreyfusarda dei socialisti francesi, e taccio di tanti altri fenomeni che sarebbe troppo lungo anche solo menzionare.
Ricordo poi un’azione politica che viene già perseguita, ma deve essere potenziata: la ricerca al lume della Menorah degli amici degli ebrei, gli spesso ignorati filosemiti. Sappiamo tutti delle collaborazioni religiose e di altre preziose iniziative. Qui voglio accennare a incontri non sulla pace, non sulla Shoah, ma sulla identificazione, anche individuale, degli ebrei con gli altri e degli altri con gli ebrei. Oppure ci fa un po’ di vergogna quel tedesco luterano di Lubecca, quel Thomas Mann che ci voleva tanto bene? Gioacchino Belli? E poi cl teniamo ben lontani da quel giudeo ucraino che, quando dipingeva un crocefisso, gli metteva addosso il talleth. Avete indovinato, è proprio Chagall.
Degli schieramenti politici ho già parlato, spero esaurientemente, dell’antisemitismo fin troppo, dello Stato di Israele ho, come detto, scritto su Pagine Ebraiche. Vorrei ancora dire qualcosa sul tema che mi è più difficile. Quello religioso. Ne parlo liberamente perché so di rivolgermi ad amici che perdoneranno i miei errori, e, caso mai, li correggeranno. Antonio Gramsci, nel suo discorso sugli ebrei che ho già citato, sosteneva una tesi che ritengo più che giusta: gli ebrei italiani costituiscono una delle regioni italiane. E infatti, dico io, gli ebrei italiani non sono solo una minoranza religiosa, ma anche culturale, etnica, folcloristica, culinaria, italiana di pieno diritto, e anche una civiltà differente. Per chi si spaventasse troppo di queste argomentazioni consiglio di confrontare la civiltà siciliana con quella piemontese, uguali di religione ma differenti in tutto il resto. Però non nei momenti critici: quando i piemontesi diventano francesi per i siciliani, e i siciliani arabi per i piemontesi.
La tendenza ideale, anzi, sognata, di trasformare l’UCEI in organizzazione laica e civile, sarebbe di grande utilità per tutti.
Ho finito, e sparo nel buio un razzo di segnalazione: la nuova, fantascientifica classificazione laica dell’ebraismo risolverebbe i problemi della pluralità, quelli dello schieramento politico, e forse semplificherebbe i rapporti con Israele (vedi Pagine Ebraiche). Mi sa che una organizzazione assai simile a questa esista già negli USA, e forse anche altrove.
Certo, se mi viene in mente quel che è successo nell’URSS, dove gli ebrei erano classificati, con grande mio orgoglio sinistrese di allora, come Nazione, nascondo la testa sotto il cuscino! Chiudo gli occhi e vedo avanzare nel buio gli “Assassini in camice bianco”.
Aldo Zargani
(18 settembre 2019)