Di nuovo sotto attacco
L’attacco agli impianti petroliferi della Saudi Aramco ha riproposto due temi non nuovi ma che periodicamente sembrano andare sotto traccia, almeno per quanto riguarda la capacità dei media di offrire una descrizione attendibile della realtà internazionale.
Il primo riguarda la fragilità del sistema nel quale viviamo, sia di quello economico che di quello politico. Non è una grande novità ma sembra che periodicamente ce ne dimentichiamo. E’ fragile il sistema economico, se basta una temporanea sospensione della capacità di raffinazione del greggio in un’azienda sia pure di rilevante proporzioni come la Saudi Aramco per provocare ripercussioni significative in tutte le borse del mondo e un rialzo altrettanto significativo del prezzo del petrolio, con tutte le conseguenze a cascata che conosciamo. Si ripropone, una volta di più, il problema della differenziazione delle fonti di energia, che non è, come qualcuno sembra credere, un problema nazionale ma che coinvolge tutti i Paesi del mondo.
Ma la fragilità non riguarda soltanto le fonti di energia: interessa tutto il sistema di relazioni nel quale siamo immersi. Ormai non c’è campo dell’attività umana che non sia regolato da sistemi informatici. Ciò ha rivoluzionato la nostra esistenza e ha reso il sistema certamente più funzionale ma ha aumentato in maniera gigantesca la sua vulnerabilità.
La fragilità del sistema economico non può non avere ripercussioni sul sistema politico. Sempre più si avverte la contraddizione tra uno sviluppo tecnologico che ha rivoluzionato il modo di produzione e un sistema politico democratico che resta ancorato alle modalità con le quali si è formato nel XIX secolo. Alcuni Paesi hanno cercato di adeguare i propri sistemi politici alle nuove necessità ma la contraddizione di fondo resta.
L’altro tema che l’attacco all’Aramco ripropone è quello del ruolo destabilizzante dell’Iran. Che l’attacco sia avvenuto per mezzo di droni o di missili, che sia partito dagli Huthi che occupano una parte dello Yemen o da zone del Golfo controllate direttamente o indirettamente dall’Iran, la sostanza non cambia: anche in questo caso dietro ogni tentativo di destabilizzare il Medio Oriente c’è l’Iran degli ayatollah, con la sua politica avventuristica. Come sappiamo, l’Iran è riuscito a creare un sistema di presenze che in varie forme abbraccia tutto il Medio Oriente, dal Libano di Hezbollah alla Siria, dall’Iraq al Qatar, dallo Yemen al Bahrein. Presentandosi come il nemico irriducibile degli Stati Uniti e di Israele, l’Iran ha raccolto e unificato l’odio contro l’Occidente che in Medio Oriente è stato coltivato per decenni.
Di fronte a questa aggressività destabilizzante dell’Iran, il resto del mondo ha assunto un atteggiamento che va dall’appoggio all’acquiescenza. Cina e Russia sostengono l’Iran perché la sua azione serve a indebolire l’Occidente e in particolare gli Stati Uniti; l’Europa, e in particolare la Francia, segue una politica di appeasement nell’illusione che l’espansionismo iraniano non leda i suoi interessi nella regione.
Le incognite per il futuro sono molte: le elezioni del prossimo anno negli Stati Uniti avranno, ovviamente, un peso notevole; quanto a Israele, c’è da augurarsi che continui la sua politica di avvicinamento a tutti i Paesi arabi che hanno ragione di temere l’espansionismo iraniano.
Valentino Baldacci