Israele in cerca di rinnovata unità
Quale governo si concretizzerà a seguito delle recenti elezioni in Israele ancora non è ben chiaro. Benjamin Netanyahu esce da queste in qualche modo sconfitto, ma nonostante la vittoria per due seggi, Binyamin Gantz sembra non avere i numeri per governare senza il Likud, sempre che non si voglia pensare a un’improbabile coalizione che includa il partito di Avigdor Lieberman e la Lista Araba Unita, o forse ancora meno possibilmente, con i partiti religiosi. Ciò nonostante, alla luce dei risultati ancora non del tutto definitivi, si può ben notare il successo delle liste arabe di nuovo riunite, la medesima ridistribuzione di voti all’interno della destra nazionalista/religiosa che in sostanza non ha guadagnato ulteriori consensi rispetto ad aprile, ed un timido risveglio delle forze progressiste di sinistra – Meretz e Labour – che pur divise in due liste diverse hanno ottenuto un seggio in più. Oltre ad un rinnovato Lieberman descritto da più parti come “l’ago della bilancia”, i partiti haredi, e Shas in particolare, sono in costante crescita.
Come già scrissi all’indomani delle elezioni di aprile, in contrasto con l’idea di monolite a cui spesso in Europa si è soliti pensare Israele, il paese sembra diviso in due società contrapposte, una laica/secolare e un’altra religiosa. Due società ulteriormente divise a livello elettorale in più blocchi, quello progressista, quello liberale, quello nazionalista laico, quello nazionalista religioso, quello religioso, e quello nazionale arabo. Senza contare la divisione che poi avviene ancora più specificatamente in base all’appartenenza ed origine geografico-culturale – seppure in realtà non manchino frequentemente singoli che votano al di fuori del proprio blocco identitario. Uno scenario partitico, riflettente le anime della società israeliana, in parte già presente sin dalla nascita dello Stato ma con attori più forti e determinati, meno propensi al dialogo e alla rinuncia della propria piattaforma elettorale. Il mondo globale è volto verso il particolarismo identitario, sono defunti o moribondi i partiti centralizzanti del secolo scorso che cercavano di fare da collante tra più frange della popolazione. Forse per alcuni versi è anche un bene.
Un paese dunque politicamente senza dubbio più vivace del nostro, dove chiunque è rappresentato in qualche modo in parlamento e che riesce a trovare la forza per restare solido in mezzo ad innumerevoli differenze. Ma anche un paese di fronte a delle sfide esistenziali che dovrà necessariamente cercare un’ulteriore e rinnovata unità tra tutte le sue componenti interne.
Francesco Moises Bassano