Zia Gioia, un compleanno speciale

ziagioiaGioia Pontremoli è una presenza costante nella mia vita, fin dai primissimi ricordi infantili, come moglie di zio Salvatore Levi e mamma di mio cugino ed omonimo Vittorio. Mi scuserete dunque se, informale e affettivo, la chiamerò in questo contesto, come sempre, “zia Gioia”. La longevità è un privilegio non inconsueto nel mondo ebraico e infatti i miei genitori se ne sono andati, lui sulla soglia dei cento e lei, addirittura, cinque anni dopo. L’età di zia Gioia non è certissima, come accade spesso nel nostro comune ambiente d’origine, ebraico e levantino. Un incendio all’anagrafe di Smirne fa il tandem con analogo evento a Yannina, città epiriota d’origine dei Levi per cui sia l’età di mio padre Jo che quella di zia Gioia possono essere solo indiziarie. Da una breve ricerca, fra un passaporto collettivo e altri documenti storici dei Pontremoli, abbiamo recepito una foto datata in cui la piccola Giuditta sembra avere un anno o poco più e questo suggerisce, per zia Gioia, un compleanno in autunno prossimo che celebrerebbe i suoi cento e otto anni. La foto cui faccio riferimento mostra la famiglia Pontremoli col padre Haim, ancora giovane, la mamma Ester Politi e le figlie Tina, Linda e poi la piccola Giuditta mentre l’ultima, Rebecca a noi tutti nota come Rita poi sposata Sinigallia, doveva ancora venire alla luce. Una foto d’epoca che però ha ancora la capacità di mostrarci tre bimbe bellissime e due genitori, entrambi ancora giovani e belli. Anche se il cognome di entrambi i genitori certifica, in maniera assolutamente inequivocabile, l’origine italiana della famiglia, si sono persi nel tempo i dettagli per cui una famiglia italiana era a Smirne fin dai tempi dell’Impero ottomano per poi decidere, successivamente, il trasferimento da Smirne a Napoli. Da una lettera che Nissim Gabbai scrisse da Napoli al cognato Pontremoli apprendiamo come fosse stato lui a proporre il trasferimento e la nuova società commerciale, mentre stabilisce le condizioni concrete che permisero, prima una ricognizione nel golfo partenopeo del capo famiglia e quindi il trasloco nell’anno 1929 dei sei Pontremoli, con Rita già nata nel frattempo. Il mercato delle pelli destinate alla produzione tradizionale di guanti, allora in grande auge, qui per noi come per gli USA, come si rileva perfino in “Pastorale americana” di Roth, caratterizzò sia l’imprenditorialità dei due cognati, Gabai e Pontremoli, sia quella di mio nonno Levi, coi figli Salvatore e mio padre Jo, rientrato dagli USA dopo gli studi superiori di Harvard. Tutti loro coinvolti nelle stesse attività commerciali. Ancora oggi, dopo così tanti anni, in via Mergellina dove i Pontremoli si sistemarono, zia Gioia vive, due piani più in basso rispetto alla casa dei genitori, dove ha passato tutta la sua vita come Levi. Sposato Salvatore il 15 ottobre del ’34, nasceva Vittorio il 21 settembre dell’anno successivo, rimasto poi figlio unico. Nella casa paterna adesso abitano il nipote Carlo e la moglie con due figli, un maschio ed una femminuccia che hanno reso zia Gioia bisnonna per la terza volta, tale ormai già da una quindicina d’anni grazie a Carlotta, figlia del nipote primogenito Alessandro. Non basta, perché recentemente, anche la terza figlia di Vittorio, ancora una Laura Levi come mia sorella, ha dato alla luce un vispo bebè, Thomas nato in Svezia, padre portoghese e mamma ovviamente napoletana, tanto per caratterizzare la vocazione internazionalista della famiglia, oggi come allora. Se un tempo, rare foto in studio segnavano eventi importanti, come le nozze, oggi la bisnonna può godersi al cellulare, assieme alla nonna, le evoluzioni nel bagnetto che si svolgono in tempo reale a Stoccolma, dove Laura vive e fa la ricercatrice. Anche se zia Gioia è tuttora vigile e lucida, in una recente visita, non me la sono sentita di andare oltre poche domande sul passato della famiglia Pontremoli-Levi perché mi è apparsa ancora più fragile e stanca, rispetto a pochi mesi prima. Dolce e tosta, com’era in un’unica personalità, anche se si gode i nipoti che crescono e che non mancano mai di passare da lei per un breve saluto, ormai non le è consentito seguire i discorsi che spesso s’intrecciano, in lieta confusione, attorno a lei. Credo di sapere però che la concreta contiguità, dal figlio a tre nipoti e oggi a quattro pronipoti assortiti, sia stata e sia ancora oggi, fonte di soddisfazione e appagamento per una vita tribolata ma anche molto ben spesa. La guerra mondiale ha rappresentato, dopo le infami leggi razziste, per tutti i nostri genitori, una fonte di ansie e lutti, di cambiamenti sociali e di riadattamenti post bellici, difficili da accettare e governare. Inevitabile che anche zia Gioia abbia subito le scosse di quegli anni, fra i bombardamenti alleati e le notti in bianco, al rifugio del tunnel che da Mergellina porta a Fuorigrotta. Poi, sfollati da quella casa e zona andarono in Abruzzo, proprio ad Atessa dove nel 42 nascevo io, non sfollato ma già internato, figlio di un greco e quindi di un nemico della “patria fascista”. Zio Salvatore invece aveva già da tempo chiesto ed ottenuto la cittadinanza italiana che però le autorità fasciste avevano deciso essere immeritata, troppo recente cioè, glie l’avevano cancellata ed era diventato apolide, con zia Gioia e col figlio apolidi anche loro, per effetto della legislazione sulla famiglia di quegli anni ancora paternalistici. Nel corso della permanenza abruzzese l’allarmante presenza germanica aveva suggerito l’allontanamento e il nascondersi degli uomini. Nel caso, si trattava di Salvatore e del fratello Moise, più giovane di lui. Nonno Haim Levi era considerato troppo anziano per i suoi 83 anni ma non così per gli occupanti tedeschi che lo arrestarono, non si sa con quali pessime intenzioni. Zia Gioia, in assenza del marito, prese per mano il piccolo Vittorio e si recò al comando dove, non sa lei stessa come, riuscì a ottenere il rilascio a breve del suocero anziano. Poi, ancora, il rientro su un camion della Brigata Palestinese arrivato, tramite una Foggia distrutta, a Napoli ormai liberata ma priva di tutto, col Vesuvio arrabbiato e con i Tedeschi stavolta, arrabbiati anche loro, che bombardarono la città. Mia madre mi raccontava come, in quei frangenti così difficili e precari, l’erogazione dell’acqua e del gas fosse discontinua e come zia Gioia, nel tentativo di verificare se e come cucinare, si fosse intossicata inalando gas incombusto. Tempi difficili che poi mano a mano si stemperarono fino alle tante successive soddisfazioni familiari e sociali. Mazal Tov, cara zia Gioia.

(Nell’immagine Gioia Pontremoli assieme al marito, in una foto degli Anni Novanta)

Vittorio Levi

(22 settembre 2019)