Popolo sovrano e cittadini

SoraniIl 26 agosto di duecentotrenta anni fa l’Assemblea Costituente nata dal giuramento della Pallacorda approvava la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Una visione del mondo che con occhio apparentemente naturalistico e falsamente religioso per secoli aveva suddiviso l’umanità in caste ancestrali, insopprimibili, invalicabili e riservato tutto il potere ai ceti elevati crollava sotto il peso insostenibile della crisi economica e delle differenze sociali, per lasciare il posto a una prospettiva del tutto nuova in cui gli uomini ritrovavano se stessi riconoscendo nell’uguaglianza naturale già sancita da Jean-Jacques Rousseau (Trattato sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini, Il contratto sociale) la propria base comune, sulla quale edificare la futura immagine della società e dello Stato. Riconoscendosi fondamentalmente uguali, i francesi – rappresentati dai membri dell’Assemblea Costituente – costruivano se stessi quali “cittadini”, componente essenziale della nuova struttura politica anti-assolutistica che avrebbe dovuto nascere sulle ceneri dell’ancien régime: teste pensanti – e non semplice numero – soggetto di diritti e di doveri nei confronti degli altri componenti della società e della stessa “cosa pubblica”.
Questo precedente storico mi veniva alla mente lunedì 9 settembre, nel giorno in cui il nuovo governo italiano si presentava alla Camera per ottenere la fiducia, quando un folto gruppo di contestatori radunato da Fratelli d’Italia e dalla Lega si riuniva in Piazza Montecitorio per contrapporsi al Parlamento e protestare contro la nascita dell’esecutivo inneggiando a Meloni e Salvini, guide del “popolo sovrano”. A scanso di equivoci, precisiamo il senso del riferimento. Quali erano i “cittadini” in quel caso? I legittimi rappresentanti del popolo italiano riuniti alla Camera dei Deputati, o il gruppo di oppositori che orchestrato dai due politici chiedeva le elezioni mettendo di fatto in dubbio l’autorità del Parlamento? A mio giudizio – e forse contro le apparenze, che vedevano una folla di gente comune contrapporsi alle “secrete stanze” del palazzo – gli autentici “cittadini” erano i deputati, riuniti a Montecitorio per dare esecuzione al mandato ricevuto dagli elettori in un sistema democratico parlamentare come quello italiano. E’ lì, nelle aule del nostro Parlamento, che si devono prendere le decisioni fondamentali per il funzionamento del sistema politico (quale appunto è il voto di fiducia a un governo appena formato); non sulle piazze, contrapponendosi ai legittimi rappresentanti e di fatto usurpando la qualifica di “popolo sovrano”. La sovranità, infatti, spetta al popolo nei modi, nei luoghi e nelle forme istituzionali riconosciuti dalla Costituzione: il popolo italiano è quello costituzionalmente rappresentato dal nostro Parlamento.
La contrapposizione tra paese istituzionale e presunto paese reale, fortemente e sapientemente voluta dai due capi sovranisti, si esprimeva in modo plastico nella doppia rappresentazione del 9 settembre: ai loro occhi il palazzo era il palcoscenico dei politici, che votavano per un governo costruito dalle élite e inviso alle masse; la piazza era la scena del “popolo sovrano”, che rifiuta la messinscena istituzionale e protesta sonoramente per conquistarsi il voto subito. Un gran senso del teatro, indubbiamente. Solo che dietro questa recita prefabbricata e fasulla si celava una simbologia reale e sostanziale, quella dell’opposizione netta tra democrazia rappresentativa – che svolge in Parlamento i suoi dibattiti, decidendo a maggioranza nel rispetto delle minoranze – e democrazia sovranista – che in piazza dà voce al cosiddetto “popolo sovrano”, cioè una massa che esalta se stessa e le sue figure carismatiche.
La speranza è che il tormentato cambiamento che si è prodotto al vertice aiuti gli italiani a riconoscersi di nuovo “cittadini”, limitando i richiami generici al “popolo sovrano”.

David Sorani