Israele e l’identità dei laici

rav ascoli“Hadatà”: chiunque abbia seguito il dibattito politico in Israele in tempi recenti conosce questa parola, che viene usata con il significato di coercizione religiosa. Con toni decisamente esagerati ogni cosa, perfino l’eventuale citazione di un versetto in una classe, può essere additata come tentativo subdolo di “irreligiosire” la società. Nell’ultima campagna elettorale il “salvare l’ebraicità dello stato” è stato ossessivamente sventolato da una parte contro l’altrettanto ossessiva “necessità di preservare uno stato libero dall’oppressione religiosa”.
Sono andato a controllare sul vocabolario, e come in fondo mi aspettavo, la parola “hadatà” non esiste. O meglio, non esisteva ancora nel 1997… Una veloce ricerca sul sito della “Accademia per la Lingua Ebraica” ci informa che la parola venne portata all’attenzione della Accademia soltanto nel 2006 e dato che era già in uso venne consigliato di accettarla come parola del vocabolario ebraico. Il sito sottolinea anche che inizialmente la parola aveva più il senso di descrivere un fenomeno sociologico che non quello di indicare coercizione. Nella sua prima accezione, ha un termine contrario, “chillùn”, che indica la tendenza di un determinato pubblico a recedere dalla propria posizione religiosa. A questo punto sarà anche opportuno notare che la stessa parola “dat” per indicare religione è tutt’altro che “originariamente ebraica” (nel Tanakh compare nel libro di Ester, come legge dello stato persiano…) e probabilmente entrò in uso come traduzione di religione nel Medio Evo. “Datì” per indicare “religioso” sembra infine rispondere all’esigenza di tradurre l’europeo concetto di “religioso” (tradizionalmente, un ebreo si sarebbe definito piuttosto “osservante”, “shomèr mitzwoth”).
Torniamo alla “hadatà” nel senso oggi in voga: perché si parla tanto di coercizione? Perché non esiste la parola contraria, benché non manchi certo chi in Israele palesi il proprio sentimento anti-religioso in modo vistoso e rumoroso? Si dirà che i religiosi sono diventati di più, in alcuni casi sono divenuti estremisti e che quindi i “laici” sentono una maggiore pressione, si sentono insidiati nella loro libertà. Qui però sembra esserci un equivoco fondamentale, ovvero l’esistenza di uno spazio neutro, non occupato. Come noto, invece, se si crea un vuoto – a meno che questo non sia artificialmente conservato – questo viene immediatamente riempito. Uno spazio pubblico neutro non esiste: l’atmosfera predominante può essere religiosa oppure no, la pubblica piazza può essere ricca di simboli religiosi, tradizionali, o può esserne scevra. Non potrà mai essere neutra. Ciò che può essere, o non essere, è tollerante e pluralista. La contrapposizione fra religiosi e anti-religiosi si riconduce così ancora una volta alla contrapposizione fra moderati e estremisti. C’è però un’altra questione, quella identitaria dell’israeliano laico: ora che non è più pioniere dello stato e che non è neanche laico-ma-studioso-del-Tanakh alla Ben Gurion, chi è? E cosa ne fa degli “ideali dei profeti di Israele” sanciti nella Dichiarazione di Indipendenza? Come si rapporta alla propria storia e alle proprie tradizioni?

Rav Michael Ascoli