Vasilij Grossman
e i totalitarismi
Molto è stato detto, in questi giorni, a proposito della risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre, che tende a unire in un’unica, indistinta condanna nazismo e comunismo sovietico e chiede “l’affermazione di una cultura della memoria condivisa, che respinga i crimini dei regimi fascisti e stalinisti e di altri regimi totalitari e autoritari del passato”. Come ha scritto Claudio Vercelli, la risoluzione è l’ennesimo segno che “la storia è stata espugnata da tempo dalle cittadelle della sua produzione scientifica. Non è oggetto di studio ma soggetto di giudizio. Non la si vuole conoscere, la si intende usare”. Un’operazione politica all’insegna del populismo qualunquista, dunque, che non si arresta neanche di fronte a palesi circolarità viziose come l’appello affinché la memoria – la più personale, contraddittoria e incerta delle facoltà – sia condivisa.
C’è però chi è riuscito a riflettere in tutt’altro modo sulla specularità imperfetta ma significativa tra quelle che, con Hannah Arendt, vengono considerate le due forme più riuscite di totalitarismo, il nazismo e lo stalinismo. È il caso del grande scrittore russo Vasilij Grossman, che non ha sentito la necessità di ricorrere alla conta dei morti, esercizio in voga dagli anni ottanta del secolo scorso e anticamera di paragoni che nella maggior parte dei casi sono unicamente intesi a riabilitare l’estrema destra fascista, i cui crimini vengono considerati secondari e derivati rispetto a quelli sovietici: il gulag, in altre parole, precederebbe secondo questa vulgata il lager. Nel suo capolavoro pubblicato da Adelphi “Vita e destino” – un libro avversato, temuto, censurato dalle autorità sovietiche – Grossman indaga in modo non banale le connessioni che esistono tra totalitarismi. Questo romanzo è un’opera in cui la grande storia di Stalingrado e della resistenza dell’Armata rossa di fronte all’aggressione hitleriana viene raccontata attingendo a tante piccole storie di uomini semplici, di quella inconsapevoli e perfino involontari agenti. Per questo motivo “Vita e destino” è la “Guerra e pace” del Novecento, e con l’opera di Tolstoj condivide molto dell’afflato, oltre che l’assonanza del titolo.
In un dialogo al centro del romanzo, in cui Grossman pone di fronte il gerarca nazista Liss e il bolscevico Mostovskoj, la riflessione sui totalitarismi è particolarmente acuta. Il comunismo contiene in sé il germe dello stalinismo, troppo comodo è sostenere la tesi che questo sia la degenerazione inaspettata e non voluta di quello. Ma questo non indica la volontà di annullare le differenze tra il comunismo di Lenin e gli anni di Stalin all’insegna delle purghe e dei gulag, per tacere della rinnovata campagna antisemita durante gli ultimi anni di vita del dittatore. A parere di chi scrive Grossman pensa la relazione tra comunismo e stalinismo come alla relazione tra un padre e un figlio; una relazione stretta dunque, ma tra persone comunque diverse.
Ad avvicinare nazismo e stalinismo, per Grossman come per Arendt, è innanzitutto lo stato di partito. È quest’ultimo a decidere l’ideologia, che impone il vero e il falso: vero è quello che il partito afferma, falso il contrario. All’ideologia segue la violenza come mezzo ma anche come fine: violenza linguistica (“soluzione finale”, “misura di profilassi sociale” e per la Germania la numerosa casistica esaminata da Victor Klemperer in “LTI. La lingua del Terzo Reich”, Giuntina), violenza psichica (stato di polizia, censura e autocensura, sospetto, delazione e denuncia), violenza fisica (persecuzione, concentramento, nel caso tedesco sterminio organizzato su base industriale).
Vasilij Grossman è stato tra i primi a entrare a Treblinka con l’Armata rossa nella tarda estate del 1944 e a raccontare quello che aveva visto (“L’inferno di Treblinka”, Adelphi); in “Tutto scorre” (Adelphi) ha invece ripercorso la morte per fame di una comunità agricola ucraina durante l’Holodomor, la carestia che nei primi anni trenta fece milioni di morti senza provocare alcun intervento di Mosca. I libri di Vasilij Grossman sono insomma un’ottima lettura per tutti, anche per i parlamentari europei.
Giorgio Berruto
(26 settembre 2019)