Un libro deludente
Sul libro di Sergio Luzzatto “Un popolo come gli altri” (Donzelli editore, 2019) è stato aperto un dibattito molto vivace su queste pagine, tanto da incuriosirmi e leggerlo per conoscerne meglio il contenuto. Devo ammettere che in qualche modo ne sono restato un po’ deluso dalle aspettative. Sia durante la lettura che dopo averlo concluso mi sono chiesto più volte cosa avesse in definitiva questo volume per suscitare tanto interesse o sconcerto. Si tratta per lo più di una raccolta di recensioni pubblicate su vari giornali o prefazioni ad altri libri che lo storico ha pubblicato in questi ultimi anni con argomento gli ebrei e la loro storia. Alcune di queste – come per esempio la presentazione del libro “Pasque di Sangue” di Ariel Toaff, pubblicata nel 2007 sul Corriere della Sera – fecero discutere già all’epoca, altre invece sono passate quasi inosservate. L’unica parte inedita in definitiva è la premessa di una decina di pagine, dove Luzzatto ritorna appunto su polemiche che l’hanno coinvolto in questi anni e che si pensavano ormai sepolte. In questa raccolta si trovano delle tesi ricorrenti sulle quali Luzzatto insiste di frequente come per esempio: l’erronea dicitura “storia ebraica” che dovrebbe essere invece storia degli ebrei, un’analisi critica sulla memoria e sulle celebrazioni della Shoà, la presunta atrofizzazione dell’intellighenzia ebraico-diasporica che sarebbe funzionale solo alla difesa delle ragioni di Israele, o la non unicità del popolo ebraico e della sua tragedia. Il passato è sempre collegato a doppio filo col presente per lo storico, il quale dunque non risparmia dure critiche a Israele: lo stato sarebbe colpevole di un uso strumentale della Shoah, di una retorica tesa a “nazistificare” gli arabi, e ancora sulla non-unicità degli ebrei, il fatto che questi non differentemente da altri popoli possano trasformarsi facilmente da “vittime in carnefici” in grado di commettere comuni aberrazioni. Come già scritto, niente di nuovo sotto il sole, più o meno brutalmente, ciò che scrive Luzzatto è ripetuto da altri ben prima di lui, con diversi intenti, anche meramente discriminatori.
Ciò che non è ben chiaro, o almeno non è molto chiaro a me, è quale sia l’intento di Luzzatto nella pubblicazione di questa raccolta. Anche a livello strutturale non c’è un vero continuum tra un testo e l’altro, con il salto temporale tra gli articoli spesso si notano numerose contraddizioni sulle tematiche e sui soggetti trattati. Alcuni testi li ho trovati comunque interessanti, mi hanno offerto qualche spunto per future letture, ma alla fine di esso ci si aspetta sempre che inizi finalmente il testo vero e proprio dell’autore originale, appunto come quando si legge in fretta una prefazione. Perché Luzzatto non ha pensato piuttosto a un’antologia personale come fece proprio Primo Levi con “la ricerca delle radici”? Anche la confusa suddivisione in quattro parti del saggio, mi lascia alquanto dubbioso: prima, durante e dopo, più una parte dedicata a Primo Levi. Il prima sarebbe prima della Shoà, il durante la Shoah, e il dopo il post-Shoah e soprattutto Israele. Come se per Luzzatto la Shoah non fosse uno sconvolgimento profondo interno alla lunga storia degli ebrei (d’Europa soprattutto), ma il punto d’appoggio su cui quest’ultima e il suo discorso odierno sempre ruoterebbe.
La fortuna di un’opera dipende dai suoi fruitori, lettori e critica. Credo che Luzzatto abbia probabilmente tutti gli strumenti dello storico per scrivere qualcosa di più singolare rispetto a queste pagine frettolose di tagli e rimandi, le quali lungi dalla vera indagine sembrano rivolti piuttosto a sdegnare o a polemizzare. O peggio, considerate le note più negative che positive nei confronti del popolo ebraico, hanno il potenziale rischio di portare quello più sprovveduto ad affermare “questi ebrei in fondo sono anche un po’ peggio degli altri”.
Francesco Moises Bassano
(27 settembre 2019)