“Kippur nel segno della consapevolezza”
Dieci concetti chiave per il periodo di festività e ricorrenze che si è aperto con Rosh Hashanah, vivrà nelle prossime ore il momento più alto con il solenne digiuno dello Yom Kippur e si concluderà con Sukkot. A proporli è rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth e tra le voci più autorevoli dell’ebraismo mondiale.
Il primo concetto, ricorda il rav, è che la vita è breve. “Nonostante le aspettative di vita siano cresciute, sarà impossibile per ciascuno di noi raggiungere tutti gli obiettivi che si è prefisso. La vita che ci è stata data è questa. La domanda – scrive rav Sacks – allora è: come dobbiamo usarla?”. Il punto di partenza, richiamato nel punto due, è che la vita stessa, in ogni respiro che produciamo, è un dono di Dio. “La vita non è qualcosa che possiamo dare per scontato. Se lo facciamo, non riusciremo a celebrarla. Certamente crediamo nella vita dopo la morte, ma è nella vita prima della morte – afferma – che troviamo veramente la grandezza umana”. Terzo concetto, prosegue il rav, è che siamo donne e uomini liberi: “L’ebraismo – spiega – è la religione dell’essere umano libero che risponde liberamente al Dio della libertà. Non siamo nella morsa del peccato. Il fatto stesso che possiamo fare teshuvà, pentirci, che possiamo agire diversamente rispetto a quanto abbiamo fatto ieri, ci dice che siamo liberi”. Si va allora al punto quattro. “La vita è di per sé un fatto significativo” sottolinea rav Sacks. “Non siamo semplici incidenti di materia, generati da un universo nato senza motivo e che un giorno, senza motivo, cesserà di esistere. Siamo qui perché c’è qualcosa che dobbiamo fare; essere al fianco dell’Onnipotente nell’opera della creazione, portando il mondo più vicino a quello che dovrebbe essere”. Senza per l’appunto dimenticare, si precisa nel quinto concetto, che la vita può essere molto difficile. “L’ebraismo – scrive rav Sacks – non vede il mondo attraverso lenti colorate di rosa. Il mondo in cui viviamo non è il mondo come dovrebbe essere. Ecco perché, nonostante le molte tentazioni, l’ebraismo non è mai stato in grado di dire che è arrivata l’era messianica, anche se la aspettiamo quotidianamente”. La vita può essere difficile, ma ha anche i suoi momenti dolci. Questo si dice al punto sei: “Gli ebrei non hanno mai avuto bisogno della ricchezza per essere ricchi o del potere per essere forti. Essere ebrei significa vivere per le cose semplici: amore, famiglia, comunità. La vita è dolce quando viene toccata dal Divino”. La nostra vita, continua rav Sacks al punto sette, è “la più grande opera d’arte mai realizzata”. Come un artista fa un passo indietro dalla tela per aver chiaro in mente cosa deve cambiare per completare il proprio dipinto, così in questi giorni di introspezione e riflessione “noi siamo chiamati a fare un passo indietro dalla nostra vita”. Il concetto di consapevolezza ispira anche l’ottavo punto. “Siamo ciò che siamo per effetto di quanti ci hanno preceduto” scrive rav Sacks. “Ognuno di noi è una lettera nel libro della vita di Dio. Non iniziamo con niente. Abbiamo ereditato la ricchezza, non materiale ma spirituale. Siamo eredi della grandezza dei nostri antenati”. Siamo anche eredi, aggiunge al punto nove, di un altro tipo di grandezza: la Torah e lo stile di vita ebraico. “L’ebraismo – riconosce il rav – ci chiede grandi cose, e così facendo ci rende grandi”. L’invito quindi è a camminare all’altezza degli ideali per cui viviamo. E anche in caso di caduta, questi giorni “ci permettono di ricominciare da capo”. Il punto conclusivo richiama “il suono della preghiera sincera, insieme al suono penetrante dello Shofar”. Suoni che ci dicono, prende commiato il rav, “che tutto questo è la vita, un semplice respiro, eppure il respiro non è altro che lo spirito divino dentro di noi”.
(8 ottobre 2019)