L’irresistibile pesantezza
dell’obsolescenza
L’Italia ha un problema di obsolescenza, il quale si palesa anche nel trionfo della retorica sui fatti. Ad esempio, i problemi dell’immigrazione sono invariabilmente riassunti nel “termine” accoglienza, guarda caso, lo stesso che viene in mente quando si tratta di assegnare i punteggi agli alberghi su Booking.
Quanto agli intellettuali di sinistra (quelli di destra non li trovi nemmeno a pagare oro) sono, per lo più, tranne un Luca Ricolfi e poco più, fermi agli anni Cinquanta. Rispetto a quel periodo, però, è rimasta loro la parte meno nobile (il manicheismo) ed è stata tagliata quella afferente al materialismo storico e dialettico.
Il risultato è una melensa salsa moralistica che prescinde del tutto dalla ricerca delle cause dei fenomeni; lo stesso è a dirsi per la non minuta letteratura che accenna alle conseguenze, mentre le cause non sono considerate degne di studio. Non che le cose siano migliorate con la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre scorso intitolata “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” (un poco tautologica): visto che bisognava spegnere i rigurgiti di fascismo e razzismo, appena arriva una dichiarazione ufficiale in tal senso, votata anche della destra, le vedove del comunismo la stroncano. Magari il testo era bruttissimo, ma combattere la xenofobia non è un esercizio estetico.
Questo fenomeno generale non trova eccezioni in ambito ebraico, anzi, quella ebraica è una sede che riproduce e talvolta esalta tali connotazioni, se non altro perché l’interesse per l’ebraismo è notoriamente cresciuto. L’obsolescenza la si può ravvisare nell’ormai nota diffusione di musei e mostre sulla Shoà, cui fa riscontro la mancanza di una crescita parallela degli istituti d’insegnamento e di manifestazioni culturali non ripetitive, sovente contrassegnate da lacune oppure dall’ispirazione a quanto di buono scaturisce dalla stampa ebraica. Se si continuerà a guardare all’indietro, con tale irresistibile obsolescenza, chi potrà far fronte alle sfide di oggi se si ricorre ai mezzi di ieri, basati sull’esibizione del male subito, fatta senza una minima ricerca delle cause e, peggio ancora, circoscrivendola nel tempo al fascismo e nazismo, e saltando a piè pari la chiusura nei ghetti, considerati come un luogo pittoresco? Bene ha fatto Guido Vitale a proporre una ricerca (diciamo) sulla raccolta di articoli di Sergio Luzzatto (Un popolo come gli altri) perché ha attivato un dibattito culturale e una riflessione su un argomento importante. Nel suo piccolo, l’Associazione Solomon si è finora prefissa un obiettivo non molto diverso, che consiste nell’attivare e promuovere il pensiero critico in seno all’ebraismo. Dopotutto, combattere l’obsolescenza ed elaborare nuove proposte è sempre più profittevole delle autocelebrazioni autoreferenziali e prive di spirito innovativo. In tal senso, la stampa ebraica ha un ruolo del quale dovremmo essere grati e orgogliosi.
Emanuele Calò, giurista
(8 ottobre 2019)