Costruendo la sukkà
Eccoci di nuovo a dimorare nella sukkà, dopo lunghe disquisizioni, su come modificare la disposizione dell’arredamento interno in modo da potervi dormire oltre che consumare i pasti e sedersi a leggere un libro – con un altro clima, forse.
Sebbene mi pare che le pareti laterali siano costituite da sacchi di iuta color marrone, c’è anche chi vede la nostra capanna come un castello fatto di mura rosa e viola.
Mentre il padre apponeva lo sechàch, del resto, ho sentito raccontare di un principe di nome Ma’alot che ama sedersi ad ammirare la sukkà e però non entra a mangiare insieme alla sua principessa per rispettoso timore del Tempio, dove solo tra diversi anni, quando sarà padre o madre, potrà riportare il Sefer a dormire nell’Aron. Nel futuro, anche alla regina sarà possibile accompagnarlo.
Ecco il significato del precetto di sedersi in sukkà, guardando dall’esterno la comodità (ed il tepore) della propria casa, come nel deserto per quarant’anni abbiamo dimorato in capanne: non solo ricordarsi della precarietà dell’esistenza e dei doni che HaShem ci elargisce con un raccolto copioso, ma anche guardare quello che c’è con occhi diversi, immaginando una terra di latte e miele di nuove possibilità.
Sara Valentina Di Palma
(17 ottobre 2019)