L’azione turca preoccupa Israele
Il confronto con il Segretario Usa

PM Netanyahu with US Secretary of State Mike PompeoUn cessate il fuoco da parte turca nel nord della Siria. È l’obiettivo della visita ad Ankara di queste ore del vicepresidente Usa Mike Pence e del segretario di Stato Mike Pompeo. “La nostra missione è vedere se possiamo ottenere un cessate il fuoco”, ha dichiarato Pompeo prima di salire a bordo del volo che lo ha portato in Turchia. Dopo l’incontro con i diplomatici turchi, lo stesso Pompeo proseguirà il suo viaggio verso Gerusalemme per incontrare il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (nell’immagine l’incontro del marzo scorso). Sul tavolo di questo vertice, “l’evoluzione della situazione in Siria e la necessità di contrastare i comportamenti destabilizzatori del regime iraniano nella regione”, come spiegava una nota dell’ufficio del segretario Usa. Netanyahu accoglierà Pompeo nelle vesti di Primo ministro pro tempore visto che, a un mese dalle elezioni, ancora non si è riusciti a formare un nuovo governo: il leader del Likud avrà a disposizione ancora fino a mercoledì per dare vita a una coalizione di maggioranza ma le sue chance sono praticamente nulle. Né Kachol Lavan di Benny Gantz né Avigdor Lieberman e il suo Yisrael Beitenu hanno fatto concessioni a Netanyahu e quindi la situazione è in stallo: Gantz è d’accordo per un governo di unità nazionale ma il presupposto è senza Netanyahu e senza i partiti religiosi e nazionalreligiosi (Shas, Yahadut HaTorah, Yamina). Lieberman non ha preclusioni sul leader del Likud ma sul resto è sulla stessa linea di Gantz. Quest’ultimo avrà il compito di provare a formare il governo una volta fallito il tentativo di Netanyahu. La strada anche per lui è in salita perché su questo fronte Lieberman non è disposto a dare l’appoggio dei suoi 9 seggi a Kachol Lavan, salvo faccia un accordo con il Likud. Ogni altra opzione – un governo di minoranza sostenuto dalla Lista araba, per esempio – per Lieberman è pura fantasia.
“La strategia di Kachol Lavan, una volta che il partito riceverà il mandato, – scrive su Yedioth Ahronoth Moran Azulay – è di esercitare un’enorme pressione sui membri della Knesset più in basso nella lista del Likud, dicendo loro che potrebbero non entrare alla Knesset se dovesse esserci una terza elezione. Nel caso specifico, in aprile il Likud ha vinto 35 seggi alle elezioni, mentre in settembre il partito ha vinto solo 32 seggi, indicando una tendenza al ribasso”. Per il momento però non c’è aria di tradimento nei confronti di Netanyahu all’interno del Likud e il perché lo spiega Raoul Wootliff, del Times of Israel, in quattro punti: il Likud non ha mai sostituito il proprio leader fino a che questi non ha fatto un passo indietro; anche se fosse, non c’è un chiaro successore all’interno del partito; nessuno di coloro che aspirano a succedere a Netanyahu vuole fare da apripista perché teme l’effetto Michael Heseltine (il politico britannico che nel 1990, sfidando Margaret Thatcher, portò alle dimissioni della Lady di ferro ma poi non ottenne la leadership del partito conservatore); alcuni membri del Likud vogliono aspettare la fine delle inchieste a carico di Netanyahu perché una sua incriminazione porterebbe a un suo inevitabile – o quasi – passo indietro. Si attende dunque mentre il paese auspica di non dover tornare a terze elezioni, a maggior ragione in un Medio Oriente dove gli equilibri stanno cambiando profondamente.

dr