L’intervista a Jonathan Safran Foer
Se niente importa,
non c’è niente da salvare

safranfoer
È chiaramente stanco, Jonathan Safran Foer, e sembra più minuto, quasi fragile, rispetto a quello che si percepisce assistendo ai dibattiti dedicati a Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi. Il suo ultimo libro, un saggio da poco uscito in Italia per i tipi di Guanda, nella versione originale si intitola We Are the Weather: Saving the Planet Begins at Breakfast, ossia “Il clima siamo noi: a salvare il mondo si inizia a colazione”. Non “prima di cena”. A colazione. Cambia parecchio.
È invece poco prima di pranzo che, uscendo dal suo albergo in centro a Milano, accetta quasi con sollievo la proposta di fare due passi all’aperto, in quel parco ora intitolato a Indro Montanelli che è stato in realtà il primo giardino pubblico della città, inaugurato nel 1784 dall’amministrazione asburgica.
I giorni italiani sono intensi: l’autore di Ogni cosa è illuminata – il romanzo autobiografico che nel 2002 gli ha portato la notorietà – ha presentato il suo saggio sulla crisi climatica al Festivaletteratura di Mantova, per poi, in quattro giorni, gestire una ridda in incontri da Ravenna a Torino per il ciclo “Aspettando il Salone del Libro”. Incontri e interviste cui partecipa volentieri ma che allo stesso tempo riconosce essere faticose, e spesso difficili.
Perché, precisa subito, “quella dei cambiamenti climatici non è una buona storia, semplicemente”. Cita Amitav Ghosh, che nel suo La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (Neri Pozza, 2017) aveva scritto che “La crisi climatica è anche una crisi della cultura, e pertanto dell’immaginazione”. E anche, come scrive a più riprese, una crisi della capacità di credere a qualcosa di lontano, un rifiuto di farsi coinvolgere.
Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, saggio pubblicato in Italia da Guanda nel 2009, era frutto di un’indagine durata quasi tre anni, un viaggio negli allevamenti intensivi diventato insieme racconto, inchiesta e testimonianza.
Avrebbe potuto iniziare citando Pitagora che, come racconta Ovidio alla fine delle Metamorfosi, fu il primo – già duemilacinquecento anni fa – a denunciare la crudeltà nei confronti del mondo animale: “In mezzo a tutta l’abbondanza di prodotti della Terra, la migliore di tutte le madri, davvero non ti piace altro che masticare con dente crudele povere carni piagate, facendo il verso col muso ai ciclopi? E solo distruggendo un altro potrai placare lo sfinimento di un ventre vorace e vizioso?”, scriveva infatti il filosofo greco. Il lavoro di Safran Foer prende avvio dalla storia recente, con l’inizio dell’allevamento intensivo, ma non è solo un saggio. Come spiega l’autore: “Se niente importa era un libro molto particolare, per me importante. Un lavoro che ha occupato tutte le mie energie per un tempo molto lungo. Ciononostante il suo successo è stato del tutto inaspettato, e mi ha davvero sorpreso”.

Se niente importa era catalogato come “nonfiction”, esattamente come Possiamo salvare il mondo prima di cena.
Sì, non è l’unica similitudine. E davvero, anche se fra questi due libri ho pubblicato un altro romanzo – Eccomi -, il collegamento c’è ed è forte. Questa seconda volta però ho consapevolmente cercato il modo più adatto a coinvolgere i miei lettori perché davvero si tratta di argomenti che colpiscono ma che non costituiscono quella che potremmo chiamare “una buona storia”.
So che la lettura di Se niente importa ha colpito e turbato molti, ci sono persone che mi hanno detto di aver cercato di smettere di leggerlo più volte, senza però riuscirci, e in molti mi hanno raccontato di essere diventati vegetariani, dopo. O vegani. Se anche questo mio ultimo testo riuscisse a muovere qualcosa nelle persone si tratterebbe per me del successo più grande.

Quali sono le similitudini di cui parlava?
Ce ne potrebbero essere molte, ma soprattutto in entrambi i casi, intendo sia per quanto riguarda gli allevamenti intensivi che nei confronti della crisi climatica, abbiamo un problema simile, una totale incapacità di passare dalla consapevolezza all’azione. Sappiamo, ma ci comportiamo come se fossimo indifferenti. Non so se quello che scrivo serve a qualcosa, concretamente. Ma non posso non farlo.

Ora c’è anche quello che molti chiamano “effetto Greta”…
È vero, certo. E mi è addirittura stato detto che sono stato “furbo” a far uscire questo libro in questo momento, che è stata una scelta azzeccata! Ovviamente non c’è nessun rapporto fra le due cose: ho iniziato a lavorarci molto tempo fa.
La cosa che continuo a trovare incredibile è che noi sappiamo di avere un problema. Serio. E lo sappiamo da anni. Ma questo non basta. Praticamente tutti sanno, pochi sono effettivamente allarmati.

E ancora meno saranno coloro disposti a modificare i propri comportamenti.
Esattamente. E come ho scritto neppure io ho la coscienza a posto. Anzi. Ho scelto di raccontarlo. Ci sono molte vicende personali in questo libro. Proprio perché è necessario che ognuno si metta in gioco, in prima persona. Che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Ognuno di noi. E dire “Ognuno” è diverso da dire “Tutti”. Non è facile neppure per coloro che si rendono perfettamente conto di quanto sia importante agire.

Ci si potrebbe chiedere se raccontare storie ha ancora senso, forse?
No, assolutamente, questo mai! È fondante e fondamentale continuare a raccontare storie. È forse la parte più importante e più ebraica, anche, di me. Raccontare, ricordare, tramandare… Questo e una certa visione del concetto di responsabilità, come dicevo. La mia identità, le mie radici, sono importantissime, e sicuramente hanno un peso nel mio modo di vedere il mondo. E, di conseguenza, sul mio modo di stare al mondo, certamente. Non solo “solo” storie da raccontare. Sono una parte di me.

Dall’incapacità di Felix Frankfurter a credere al racconto di Jan Karski all’emozione per il Bar Mitzwah di suo figlio…
Esattamente. Raccontare storie, anche personali, soprattutto se capaci di emozionare, è vitale.

L’identità ebraica è sempre presente, quindi?
Potrebbe essere altrimenti?

Ada Treves – Pagine Ebraiche ottobre 2019

(17 ottobre 2019)