Rojava, speranza di futuro
Non si può tacere di fronte all’invasione turca del Rojava solo perché i curdi hanno combattuto contro i tagliagole di Daesh, o perché questi tra le proprie milizie hanno molte ragazze sorridenti. I curdi siriani hanno salvato migliaia di ezidi da un massacro annunciato – come mi hanno confermato molti di loro -, e hanno liberato le donne ezide ancora in prigionia. Essi hanno costruito nella loro area un modello di municipalismo democratico mettendo da parte l’etno-nazionalismo, amministrando tramite assemblee insieme alle altre minoranze della zona, come i cristiani siriaci, gli arabi, i turkmeni, gli armeni e i circassi. Il loro “confederalismo democratico” prende ispirazione dalle idee del pensatore libertario Murray Bookchin, nato a New York in una famiglia ebraica. In una regione prevalentemente rurale e tradizionalista hanno introdotto il femminismo, l’ecologismo e l’antiautoritarismo. Invece di creare come in altri conflitti delle enormi fosse comuni dove gettare i cadaveri dei loro nemici di Daesh, li hanno radunati in campi insieme alle loro famiglie con lo scopo un giorno di “riabilitarli socialmente”. Non è possibile sapere se un giorno queste buone premesse saranno tradite come altri esperimenti nati su queste basi. Ma in una zona incastonata tra il regime di Assad, la Turchia di Erdogan e cellule jihadiste ancora in attività, il Rojava rappresenta una speranza per il futuro. Un futuro adesso minacciato da tutti questi attori, compreso il regime siriano appoggiato dalla Russia, il quale entrando in scena chiederà certamente un prezzo da pagare, e con cui i curdi in questi anni non sono mai riusciti ad arrivare ad un accordo. Se questo conflitto troverà una tregua, la storia comunque non dimenticherà l’impassibilità con cui la comunità internazionale ha assistito alle stragi compiute in questo breve lasso di tempo dalle forze armate turche.
Francesco Moises Bassano