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Trattamenti di luce

Viviana KasamSono poche, e fortunate, le persone che almeno una volta nella vita non abbiano sofferto di depressione. La fine di un amore, un lutto, una delusione profonda possono ingenerare una sorta di paralisi emotiva. Nulla dà più piacere, non si riesce a immaginare il futuro, il presente appare grigio e senza speranza, una palude dove annega ogni sentimento. Per fortuna, per la maggior parte delle persone, si tratta di stati d’anima temporanei, che si curano con la psicoterapia, con i farmaci o magari passano da sé. Un giorno ci si sveglia e la vita sorride di nuovo. Ma per alcuni questo non succede. Il gorgo della depressione li inghiotte e il pensiero del suicidio appare l’unica via di uscita da un’esistenza priva di significato. Questo avviene molto di più nei Paesi del Nord, dove l’inverno porta notti lunghissime e brevi giornate senza sole. Il rapporto tra mancanza di luce e depressione viene oggi studiato dai neuroscienziati e a Milano, presso l’Ospedale san Raffaele, il prof. Francesco Benedetti sta sperimentando una terapia molto innovativa: cura i pazienti esponendoli a trattamenti di luce – basta mezz’ora al giorno, con lampade il cui spettro luminoso replica la luce solare. I risultati son incoraggianti, e suffragati da esperienze pubbliche internazionali . A Tokyo per arginare l’alto numero di suicidi nelle metropolitane, sono state installate da una decina di anni in tutte le 28 stazioni del Tokyo Loop delle lampade a luce blu: i suicidi sono diminuiti dell’84%. A Londra, nell’aeroporto di Gatwick, stanno installando luci di questo tipo sulle piattaforme dei treni: “vogliamo fare di tutto per arginare questa piaga” ha dichiarato al Sunday Times Ian Stevens, manager dell’unità di prevenzione suicidi del Network delle Ferrovie. E in Scozia a un passaggio a livello molto frequentato da aspiranti suicidi, è stata installata tre anni fa una luce blu come deterrente.
Prof. Benedetti, come agisce la luce sul cervello?  
In molti modi. Noi viviamo in un ambiente ritmico (la terra che ruota su se stessa, e detta il ritmo circadiano, e più lentamente intorno al sole, generando il ritmo delle stagioni), e usiamo luce e buio come segnali che dicono al nostro cervello a che punto siamo del giorno, e dell’anno. 
La luce è il principale sincronizzatore dell’orologio biologico, che regola il ritmo di attività e riposo dell’organismo e i ritmi di produzione di ormoni e di neurotrasmettitori: tutti i sistemi neurotrasmettitoriali che sappiamo essere coinvolti nella depressione (serotonina, noradrenalina, dopamina, glutammato) seguono ritmi di attività che nella depressione sono profondamente perturbati, e la luce li ripristina e li stimola. Questo è un meccanismo noto da tempo: possiamo dire che la luce agisce suglistessi sistemi che vengono stimolati dai farmaci provvisti di azione antidepressiva. Si pensa che la perturbazione dei ritmi dell’organismo sia uno dei fattori biologici maggiormente coinvolti nello scatenare la depressione, e la luce agisce direttamente su di essa correggendola.
Ma in più, si è recentemente scoperto che dalla retina fibre nervose convogliano direttamente l’informazione sulla quantità di luce presente alle aree del cervello responsabili della esperienza di emozioni e affetti (il sistema limbico). La luce agisce così direttamente su queste strutture, riducendo la reattività a stimoli negativi ed esaltando quella a stimoli positivi. Questo è il meccanismo di base che regola la preferenza circadiana dei mammiferi: noi siamo animali diurni, e grazie alla luce, il nostro sistema limbico è predisposto a generare emozioni positive alla luce, ed emozioni negative al buio -basti pensare alle emozioni scatenate da un rumore improvviso se lo udiamo in una stanza ben illuminata, o al buio, dove tutto può terrorizzarci.
E’ modulando l’attività di questi sistemi che l’esposizione alla luce si trasforma, nella clinica della depressione, in un potente strumento terapeutico, provvisto di efficacia che la associazione psichiatrica statunitense (APA) stima pari a quella dei comuni farmaci antidepressivi.

Lei parla di rapporto tra l’orologio biologico, il cosiddetto ritmo circadiano, la rotazione della terra e addirittura le maree. Come lo spiega?
Sono scoperte recentissime. La luce è il segnale che attiva il nostro cervello ogni mattina, stimolandolo a produrre neurotrasmettitori e generando quell’esperienza di progressivo aumento delle energie e miglioramento dell’umore e della voglia di fare che associamo al risveglio, quando i nostri ritmi sono bene allineati- Il buio della sera, invece, è il segnale per la produzione di melatonina, che viene prodotta a partire della serotonina ed è il segnale per l’organismo di modificare i ritmi biologici e prepararsi al riposo notturno.
Il nostro cervello usa la distanza tra la luce del mattino e il buio della sera come indicatore della stagione in cui stiamo vivendo: e adatta tutti i ritmi, metabolici e di attività dei neurotrasmettitori, per massimizzare l’adattamento. Si è così scoperto che la serotonina diminuisce di dieci volte la propria attività durante l’autunno, per poi aumentarla nuovamente in primavera: e proprio le stagioni in cui questi ritmi cambiano rapidamente sono quelle in cui ci si ammala di depressione.
Infine, è recentissima la scoperta che i ritmi delle onde di marea lunari agiscono anch’essi come sincronizzatori, e interagendo con il sole influenzano il ritmo del sonno, che tanta importanza ha nei disturbi dell’umore: si è così osservato che molti pazienti tendono ad ammalarsi in funzione di questi ritmi, con dinamiche che rispettano la struttura ritmica del sistema solare al quale ci siamo adattati, e che solo ora iniziamo a comprendere.

Nelle sue terapie lei accoppia privazione di sonno e esposizione alla luce. Come mai? La mancanza di sonno non è una delle cause della depressione?
Sì, nelle persone che non soffrono della malattia depressiva la deprivazione di sonno è seguita da un deterioramento del tono dell’umore, che diventa labile, e l’esperienza comune è di essere irritabili e facili al discontrollo emotivo. Ma il sonno è profondamente alterato durante un episodio depressivo maggiore, e ha perso la sua capacità ristoratrice e di rigenerazione della biologia cellulare del cervello. La deprivazione di sonno ha quindi effetti paradossali: promuove la immediata produzione di neurotrasmettitori e ripristina i ritmi biologici che regolano l’omeostasi cellulare nel tessuto neurale, la plasticità sinaptica, la attività elettrica della corteccia. A questi fenomeni (che si studiavano nell’animale, ma oggi si studiano anche nell’uomo grazie alle nuove tecniche di brain imaging e di elettrofisiologia) corrisponde il miglioramento rapido del tono dell’umore: il 60-70% dei pazienti depressi ne trae un immediato beneficio.
I primi esperimento sull’uso della deprivazione di sonno come antidepressivo risalgono agli anni ’70, e oggi sono stati definiti protocolli standardizzati per il suo utilizzo nella pratica clinica quotidiana. Sia chiaro che si tratta di una terapia potente, da effettuare sotto controllo medico, e meglio ancora in un ambiente ospedaliero: consente di ottenere gli stessi tassi di risposta clinica degli antidepressivi farmacologici, ma in tempi più rapidi, senza effetti collaterali di rilievo, e anche in una parte considerevole dei pazienti che non traggono beneficio dai farmaci.
Una buona opzione terapeutica, che la natura ritmica della nostra fisiologia cerebrale ci ha messo a disposizione!

Chi soffre di disturbi bipolari, alternando periodi di depressione a periodi di attività maniacale, può beneficiare comunque della terapia della luce?
Sì, anzi a quanto capiamo è più sensibile agli effetti degli stimoli ambientali sul tono dell’umore. Per quanto riguarda la terapia della luce, gli studi scientifici mostrano con chiarezza che essa è efficace, e viene comunemente utilizzata in associazione a terapie stabilizzanti come i Sali di litio.

Lei si è interessato anche a rapporto tra depressione e creatività. Esiste una correlazione tra queste due manifestazioni, che potrebbe spiegare perché tanti grandi artisti – basti pensare a Van Gogh, Turner, Virginia Woolf- hanno sofferto di mal di vivere?
Siamo abituati a considerare il nsotro cervello come un unico organo, ma in realtà esso si è formato come una straordinaria integrazione di strutture superspecializzate che sono comparse durante i milioni di anni dell’evoluzione dell’uomo e dei mammiferi. Le strutture superiori, e più recenti, reclutano e coordinano le strutture inferiori definendo mappe di attivazione neurale in continuo mutamento, e che vengono armoniosamente definite dalla funzione psicologica attiva in quel momento. Noi siamo consapevoli solo di una minima parte di queste attività, e riceviamo emozioni, stati d’animo, affetti -ma anche idee e rappresentazioni mentali- come qualcosa di dato alla nostra coscienza, qualcosa che origina da noi ma spesso non sappiamo come né perché: e nella nostra coscienza costruiamo una narrazione coerente della nostra vita psichica, che ci consente di muoverci nel mondo e che però spesso segue schemi prestabiliti, strutturati dalla nostra esperienza e un po’ ripetitivi.
Negli stati di alterazione patologica propri dei disturbi dell’umore, come nel disturbo bipolare, questo scorrere rassicurante della nostra vita psichica viene distrutto, e le persone provano l’esperienza angosciosa dell’arresto del tempo e del blocco dei dentimenti vitali nella depressione, o della disorganizzazione delirante nella esaltazione maniacale. E’ una esperienza terribile, descritta spesso come intollerabile, e a cui non tutti sopravvivono: ma molti grandi artisti, che la hanno provata, associano poi l’origine della propria creatività proprio alla esperienza di rottura degli schemi del reale causata dalla malattia, e sembrano capaci di tradurre nell’opera d’arte quel che per noi—che viviamo nella normalità—rimane indicibile.
“Noi del mestiere siamo tutti un po’ matti!” scrisse George Byron. Il rapporto tra psichiatria e creatività che solo recentemente si è iniziato a studiare scientificamente, sta trovando corrispondenze tra gli effetti sul cervello di sostanze allucinogene, esperienze psicotiche, e integrazione funzionale delle strutture che compongono il nostro cervello.

Viviana Kasam

Per approfondire:

Sui ritmi circadiani, il benessere, e la depressione:
Michael Terman, Ian MacMahan. Il buon sonno: L’orologio della salute. Feltrinelli

Sulla terapia cronobiologica della depressione:
Anna Wirz-Justice, Francesco Benedetti, Michael Terman (2013) Chronotherapeutics for affective disorders. A clinician’s manual for light and wake therapy. 2nd revised edition. Karger, Basel.
e il sito internet del Center for Environmental Therapeutics (cet.org)

Maxwell Bennett (2013) Virginia Woolf and Neuropsychiatry. Springer