Selfie fuori luogo

rav ascoliCasi di persone che hanno perso la vita per scattarsi un selfie spettacolare sono diventati così frequenti che quasi non fanno più notizia. Il fatto di non ammazzarsi, letteralmente, pur di farsi una bella foto dovrebbe essere ovvio e non sembrerebbe il caso di andare a scomodare delle fonti per dimostrarlo. Riflettendoci bene, invece, la ragione per farlo c’è. Partiamo da un approccio pragmatico: se, nonostante la logica contraria il fenomeno esiste e persiste, occorre riflettere sul perché. Ecco che allora è utile approfondire il senso del versetto “e presterete molta attenzione per le vostre persone” (Deut. 4:15), che è la fonte generalmente citata come divieto di mettersi in pericolo. Il Talmud mette questa “prova” in bocca a un gentile, evidentemente potente, il quale provocatoriamente chiese a un ebreo: “perché non hai interrotto la tua preghiera per rispondere al mio saluto? Eppure sai che se ti avessi tagliato la testa con la spada nessuno mi avrebbe accusato per questo!” (TB Berakhòt 32b. In effetti la norma vuole che in caso di pericolo di vita si interrompa la preghiera, proprio come qui dove il potente gentile avrebbe potuto considerare la mancata risposta un’offesa tale da uccidere).
Tuttavia, benché effettivamente sussista il divieto di provocare danni a sé stessi, così come pure sia proibito mettersi in pericolo, i commentatori fanno notare che il senso piano del testo non si riferisce affatto a danni fisici. Piuttosto il contesto del versetto e dell’intero brano è quello dell’ammonimento di Moshè al popolo a non cadere nell’idolatria. Basterà citare il versetto per intero: “e presterete molta attenzione per le vostre persone, poiché non vedeste nessuna immagine nel giorno in cui il Signore vi parlò a Chorèv, da in mezzo al fuoco”. Si tratta dunque del monito a non farsi immagini, così basilare nell’ebraismo. Dato che la rivelazione sul monte Sinai (Chorèv) ne fu scevra, è vietato prodursene: dal farsi immagini all’idolatria il passo è breve. Ecco allora l’essenza del “peccato mortale del selfie”: a far superare la sana logica di non mettersi in pericolo per una foto non è un momento di leggerezza; è, a livello più profondo, l’espressione dell’autoesaltazione, del porre sé stessi come immagine del bene assoluto; in assenza di altri valori, dell’unica cosa da valorizzare. Un egocentrismo edonistico che sfocia nell’idolatria e che non si ferma neanche di fronte al pericolo di morte: il farsi immagini di sé stessi.

Rav Michael Ascoli