Solidarietà ed ebraismo
In una stimolante intervista a “Sorgente di Vita” (Rai, 26 giugno 2016), Carlo Ginzburg, un intellettuale di punta, asserì, a proposito dell’altrettanto celebre madre Natalia: “L’ha scritto, ha detto, io sono, io sono ebrea, sono ebrea per parte di padre questa ebraicità diciamo è qualcosa che lei ha sentito e su cui ha ragionato e per lei essere ebrea voleva dire solidarietà con le vittime, solidarietà con l’ingiustizia, solidarietà non con i vincitori ma con le vittime”.
Sennonché, in un celebre intervento “Non togliete quel crocifisso”, L’Unità, 22 marzo 1988) Natalia Ginzburg aveva asserito che “prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini. Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini”.
Ora, se prima di Cristo nessuno avesse detto che “nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini”, vorrebbe dire che l’ebraismo ne sarebbe scevro. Potremmo quindi assumere che nella frase sopra riportata, non si facesse riferimento all’ebraismo bensì all’essere ebrei (“essere ebrea”) e quindi la celebre autrice sembrerebbe far riferimento alla condizione di chi è ebreo, e non alla religione ebraica. Questa potrebbe essere la spiegazione dell’apparente antinomia fra il pensiero dichiarato di Natalia Ginzburg e quello che il prestigioso figlio le attribuisce. Poiché l’ebreo è vittima, ci si pone al posto della vittima e non dell’aggressore. Per l’ebraismo, inteso come religione e non come condizione, non sarebbe un apprezzamento lusinghiero, per quanto attiene ad eguaglianza e solidarietà, ma ciò rientra nella libertà d’espressione, giusto o sbagliato che sia.
Nell’articolo scriveva anche che “Ha detto ‘ama il prossimo come te stesso’. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana”. Ne consegue che un imperativo ebraico, sarebbe stato più imperativo passando al cristianesimo perché diventato fondamentale? Ragioniamoci su.
Nell’articolo si legge ancora “Cristo ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare mercanti”; è difficile non pensare che se li scacciò con grande vigore dal Tempio (“Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi”; Giovanni 2, 15) vuol dire che al Tempio teneva moltissimo: altre interpretazioni non sembrerebbero proponibili.
È esatto che la religione del popolo in cui Cristo nacque, l’ebraismo, non ponesse al centro dell’esistenza la solidarietà e l’eguaglianza tra gli uomini? Lasciamo il compito ad altri più bravi di noi (ossia, a tutti). Il nodo, però, andava sciolto: vi è una contraddizione o no? Ciò che andrebbe detto è che commentatori e giornalisti dovremmo evitare di scartare i dubbi, anche quando sono scomodi, perché si rischia di far torto al pensiero e, in ultima analisi, di navigare a vista, mirando soltanto alla superficie. Il collegamento fra i testi (il cui etimo rimanda all’ordito) al fine di sceverarne eventuali antinomie, non dovrebbe essere, anch’esso, un patrimonio ebraico? Poiché, secondo l’ambigua ma geniale Hanna Arendt, il male è superficiale, ma il bene ha salde radici, non approfondire i testi (l’ordito) rischia di trascurare l’essenza dell’approccio ebraico allo studio. Dopotutto, anche questo breve ragionamento concernente la solidarietà, sulla falsariga del rapporto fra storia, religione e letteratura (un po’ come fa suo eminente figlio con Italo Calvino, in: Ginzburg, Carlo. “Microstoria: due o tre cose che so di lei.” Quaderni Storici, vol. 29, no. 86 (2), 1994, pp. 511–539) si contrappone alla “histoire – bataille” tanto denigrata, e non sempre a ragione. Chi credesse, però, nella pluralità delle risorse, potrebbe dimostrarsi interessato.
Emanuele Calò, giurista