I fruttopuristi
Nel fortunato testo I frutti puri impazziscono (Bollati Boringhieri), l’antropologo James Clifford ha utilizzato un’immagine tratta da una poesia di William Carlos Williams, quella appunto dei frutti puri, per chiarire la poca serietà delle pretese di purezza culturale. Isolare le identità, secondo Clifford, significa soffocarle e provocare un corto circuito, farle impazzire insomma. Eppure negli ultimi trent’anni, seguiti alla pubblicazione del libro di Clifford, dobbiamo prendere atto di una radicalizzazione delle identità impressionante, anche se non uniforme. L’argomento è stato affrontato da un punto di vista ebraico da rav Jonathan Sacks nel volume Non nel nome di Dio. Confrontarsi con la violenza religiosa (Giuntina), in cui è lo sviluppo di identità multiple l’antidoto prescritto per curare l’integralismo religioso (ma il discorso è analogo anche per integralismi di matrice non religiosa). La marea dei fruttopuristi, di coloro cioè che rivendicano orgogliosamente la presunta purezza dell’unica identità scelta da loro stessi, non ha cessato di alzarsi. Ci sono fruttopuristi ebrei, musulmani e cristiani, carnivori e vegani, italiani e francesi, meccanici e cuochi, tifosi di squadre di calcio e iscritti a partiti politici eccetera. A titolo di esempio, mi è capitato di recente di sentire un tale che contestava la possibilità di una lettura ebraica dei vangeli in nome dello studio esclusivo dei testi della “nostra tradizione”. E che dire della violenza terrorista, soprattutto di matrice musulmana ma non solo, che occupa da tempo le prime pagine dei giornali? La differenza negli effetti di questi due fruttopurismi è evidente, nelle premesse invece si assottiglia fino quasi a sparire. Per smontare le ricostruzioni pseudostoriche e autoreferenziali dei fruttopuristi forse l’unico strumento che abbiamo a disposizione è provare a mostrare le contiguità, le intersezioni, le contaminazioni e le mescolanze tra identità. Le relazioni fluide tra i fatti, in altre parole, come alternativa agli idoli immobili delle identità fittizie impazzite.
Giorgio Berruto