Periscopio – L’isola sacra

lucreziLunedì scorso, 7 novembre, presso una delle libreria Feltrinelli di Napoli è stato presentato il libro Isola sacra. Alle origini della famiglia, scritto dal Professore Francesco Paolo Casavola, dal giovane e valoroso Collega Dario Annunziata e da me (Editoriale Scientifica). Ne hanno parlato il giurista ed editorialista Luigi Labruna, l’Avvocato Domenico Ciruzzi, Presidente della Fondazione Premio Napoli, e Riccardo Di Segni (Rabbino Capo di Roma e Vice-Presidente del Comitato Nazionale di bioetica), e ha moderato il dibattito il giornalista Giuseppe Crimaldi (tra l’altro, Presidente della Federazione delle Associazioni Italia-Israele). Devo esprimere, naturalmente, la mia gratitudine nei confronti di molte persone: il mio Maestro, prof Casavola, che ha accettato di affiancare la sua firma alla mia e a quella di Dario; gli Editori, che sostengono sempre generosamente molte mie iniziative; i responsabili della libreria, per avere ospitato la manifestazione; i tre illustri relatori e l’illustre moderatore.
Il volume raccoglie alcune considerazioni non solo intorno al problema dell’origine storica della struttura familiare (che si colloca in quella che Casavola ha definito l'”antichità senza data”, ossia in quel remoto passato per il quale non si dispone di testimonianze dirette, e la cui ricostruzione è possibile solo attraverso deduzioni logiche, ipotesi comparatistiche e congetture antropologiche), ma anche riguardo alla sua funzione relazionale, sociale e politica da questa esercitata nelle varie epoche. Qual è il segreto della fortuna storica incontrata dalla famiglia (tanto monogamica quanto poligamica)? Come mai tale costruzione è stata conosciuta e praticata da tutte le civiltà umane, anche senza nessun reciproco contatto? Che rapporto gioca, in essa, la relazione tra viventi e defunti? Come e perché sono nate la supremazia maschile e la soggezione femminile? Tale distinzione di ruoli e di potere è una forma di patologia, di difetto, che può essere superato e corretto, o si tratta invece di qualcosa legato alla natura stessa della famiglia, la cui fine significherebbe (o sta significando), ineluttabilmente, la morte della famiglia stessa? E come mai pressoché tutte le religioni sembrano avere, sia pure in modi diversi, suggellato, rafforzato, giustificato o, addirittura, “sacralizzato” tale forma di subordinazione?
Non è possibile, naturalmente, nello spazio di poche righe, sintetizzare i contenuti del dibattito svoltosi lunedì scorso, che è stato – in ragione del livello dei partecipanti – quanto mai ricco e interessante, e che mi ha fornito tante sollecitazioni per ulteriori riflessioni e ricerche, che spero, un domani, di potere avviare e sviluppare (anche se ars longa, vita brevis…). Tra le varie osservazioni formulate nel corso della presentazione, quelle, particolarmente profonde, di Rav Di Segni si sono collegate a una suggestiva relazione da lui svolta, nel prosieguo della serata, all’interno della Comunità Ebraica di Napoli, in occasione di un incontro conviviale a cui sono stati invitati, oltre ai membri della Comunità stessa, gli autori del libro e i relatori. In tale relazione, che ha preso le mosse dalla pubblicazione della recente traduzione in italiano del trattato Kiddushìm del Talmùd, il Rav si è soffermato sulla celebrazione delle nozze (ossia sul momento genetico e fiondante della famiglia) nella tradizione ebraica antica e moderna.
Un elemento su cui il relatore ha insistito è stato quello della grande diversità sussistente tra il matrimonio ebraico antico e quello moderno, una diversità collegata soprattutto a tre circostanze fondamentali: il fatto che, anticamente, la coabitazione degli sposi era spostata a un momento successivo alla conclusione del contratto nuziale, mentre ora le due cose sono immediatamente consecutive; l’età degli sposi, che oggi è molto più avanzata che in passato (quando le ragazze si sposavano, generalmente, subito dopo il raggiungimento della pubertà); il superamento della poligamia, ufficialmente proibita non prima della fine del primo millennio dell’era volgare. Differenze, quindi, molto profonde, tali da fare apparire il matrimonio di ieri e quello di oggi due cose sostanzialmente diverse. Eppure, questa grande diversità appare celata sotto le sembianze di un’apparente continuità, come se il matrimonio sia sempre stato, in sostanza, lo stesso.
Il tempo non ha permesso al Rav di soffermarsi sulle ragioni del perché ciò avvenga. Io, nel mio piccolo, mi limito a chiedermi se non sia proprio l’importanza, nella società umana, della famiglia, come “isola sacra”, a rendere necessario che il suo atto genetico, ossia il matrimonio, appaia ammantato di una forma, più immaginaria che reale, di ‘eternità’.
Ma è solo una domanda, a cui spero che lo stesso Rav, magari in occasione di una sua nuova visita a Napoli, possa dare risposta.

Francesco Lucrezi, storico