Venezia e l’acqua devastatrice,
una risposta ebraica alla crisi
L’immagine di Venezia devastata lascia senza fiato. Un dolore che è dei veneziani, prima di tutto. Ma che è sentimento diffuso nel Paese e nel mondo intero. La mobilitazione per la solidarietà è globale.
Ci saranno grandi interventi da fare e ferite da ricucire. I responsabili di questo sfacelo, se delle colpe umane saranno accertate, dovranno pagare. Soprattutto sarà però necessario un improcrastinabile scatto di consapevolezza. La posta in gioco è enorme. Come molti osservatori indicano il futuro stesso di Venezia è a rischio.
Presentato nelle scorse settimane a Gerusalemme, dove è ancora in mostra nell’ambito della Biennale che vi si sta svolgendo, il progetto “Living Under Water” ideato da Beit Venezia cerca di indicare una via attraverso la storia e i valori ebraici. Un progetto sofisticato, cui è dedicato ampio spazio sul numero di novembre di Pagine Ebraiche, ma che è al tempo stesso alla portata di tutti attraverso parole, immagini, un percorso ben costruito. Il risultato dell’elaborazione concettuale originata dalla creatività di sei artisti che sono stati invitati nel 2018 in Laguna per un confronto sul tema del cambiamento climatico svoltosi nell’arco di tre settimane, coinvolgendo in alcuni incontri anche la comunità ebraica.
“Una città unica e fragile” si legge nella presentazione del progetto, illustrato a Gerusalemme dalle due anime di Beit Venezia, i professori Giuseppe Balzano e Shaul Bassi. “L’arte ebraica – il loro messaggio – può aiutarci a continuare a vivere al di sopra dell’acqua”.
“Living Under Water” parla attraverso le immagini, evidentemente. Ma in realtà si è andati molto oltre, condensando in una riuscita zine distribuita a Gerusalemme il meglio della riflessione ebraica, contemporanea e non, sulla tutela del creato e sulle scelte che questa ci impone.
“Se interpretiamo il nostro ruolo di padroni della terra come un’opportunità unica per servire veramente e prenderci cura del pianeta, delle sue creature e delle sue risorse – sottolinea ad esempio rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth e tra i pensatori più influenti in circolazione – allora potremo davvero rivendicare il nostro status di amministratori del mondo e far crescere le nuove generazioni in un ambiente molto più vicino a quello dell’Eden”.
Serva una ferma presa di coscienza, avvisano gli artisti coinvolti. “La mia più profonda speranza – scrive l’artista Andi Arnovitz – è che tutti noi, artisti, studiosi, Beit Venezia, si sia riusciti a dar vita a qualcosa che sarà usato, diffuso, citato ed esaminato, dibattuto, condiviso e meditato. Una singola immagine può infatti scuoterci dal nostro torpore. Qualunque cosa troviate in queste pagine che possa aiutare a ripensare abitudini consolidate e a facilitare il cambiamento e l’azione a livello personale avrà reso l’intero progetto un’esperienza che è valsa la pena fare”.
C’è un pianeta da salvare. E da Venezia arriva in queste ore difficili anche un messaggio di speranza.
Adam Smulevich
(14 novembre 2019)