La sinistra e Israele
Alcuni recenti episodi hanno riproposto il problema – non nuovo – del rapporto tra la sinistra italiana e lo Stato d’Israele o, se si vuole, con il sionismo.
Il primo di questi episodi è l’intitolazione a Yasser Arafat di un tratto del lungomare di Palermo. La giunta Orlando è una giunta di sinistra e l’omaggio ad Arafat segue quello tributato da un’altra giunta di sinistra, quella di Napoli, alcuni anni fa, con la concessione della cittadinanza onoraria ad Abu Mazen. Che Arafat sia stato un leader che ha posto al centro della sua azione politica l’uso del terrorismo e l’obiettivo della distruzione dello Stato d’Israele non è lecito porre in dubbio; ma, si potrebbe obiettare, anche i terroristi possono cambiare idea e scegliere strade diverse, quelle del compromesso e della pace, e questo sembrava fosse accaduto ai tempi degli accordi di Oslo. Ma ciò che è avvenuto negli anni successivi – gli anni ’90 – con lo scatenamento di un terrorismo cieco contro la popolazione civile e, soprattutto, con il rifiuto di concludere la pace con Israele nell’estate del 2000 con la mediazione di Bill Clinton, una pace che sembrava ormai a portata di mano, porta interamente la responsabilità di Arafat, con l’esito di scatenare una seconda intifada ancora più sanguinosa, e seppellendo, forse per sempre, ogni possibilità di pace.
Il secondo è costituito dalle dichiarazioni del nuovo assessore alla Cultura del Comune di Napoli, Eleonora De Majo, un Comune anch’esso considerato di sinistra, retto dal magistrato Luigi De Magistris. Secondo la denuncia della Comunità ebraica di Napoli, la De Majo non solo ha pubblicamente assimilato il sionismo al nazismo e paragonato Netanyahu a Hitler, ma ha definito il governo israeliano «un manipolo di assassini» e gli israeliani stessi «porci, accecati dall’odio, negazionisti e traditori finanche della vostra stessa tragedia». Le espressioni usate, ed altre simili, non solo sono di una volgarità incredibile ma configurano reati come l’istigazione all’odio razziale e stupisce (o forse no) che la magistratura non sia ancora intervenuta.
Il terzo riguarda l’inaugurazione del Consolato onorario d’Israele a Firenze, affidato a Marco Carrai. Carrai aveva invitato alla cerimonia tutti i leader di partito, ma solo Matteo Salvini si è presentato, mentre Zingaretti e Renzi – che pure a Firenze è di casa – non si sono visti. Salvini si era presentato la mattina dell’inaugurazione con un tweet nel quale affermava che andava a Firenze a inaugurare il Consolato d’Israele. Naturalmente non ha inaugurato niente, perché il programma prevedeva, oltre agli interventi dell’Ambasciatore Dror Eydar e di Marco Carrai, il saluto del Sindaco Dario Nardella e le relazioni di Fiamma Nirenstein e di Jonathan Pacifici. Salvini è arrivato circa della cerimonia; per cortesia istituzionale è stato fatto sedere in prima fila, è stato salutato da Marco Carrai e tutto è finito lì. Resta il fatto che Salvini era presente e Zingaretti e Renzi no.
Sono tre episodi di contenuto diverso ma che vanno tutti nella stessa direzione e mettono in evidenza un disagio, una difficoltà della sinistra nei rapporti con Israele che non avrebbe ragione di essere, perché ormai le ragioni di politica internazionale che, fino alla caduta del muro di Berlino, inducevano il PCI a collocarsi a fianco dell’Unione Sovietica nelle questioni di politica internazionale e quindi anche per quello che riguardava i rapporti con Israele, non esistono più. Eppure non mancano nel PD figure anche di primo piano e amministratori locali che sono sinceramente amici di Israele; tuttavia, quando si tratta di prendere decisamente posizione, preferiscono tacere o addirittura, come nei casi di Palermo e di Napoli, assumere posizioni duramente ostili allo Stato d’Israele.
Si potrebbe chiederci le ragioni di quella che nel migliore dei casi può essere definita ambiguità e nei peggiori, come abbiamo visto, pesante ostilità. La risposta potrebbe essere trovata – oltre che nel permanere di residui atteggiamenti che risalgono all’egemonia del PCI – nella mancata definizione di un preciso confine, verso sinistra, verso quel magma confuso di gruppetti, di centri sociali, di associazioni di vario genere – tutti decisamente antisionisti – che, pur non essendo numericamente consistenti, costituiscono un punto di attrazione anche nei confronti della sinistra maggioritaria. Senza dimenticare che simili atteggiamenti si ritrovano anche nella cosiddetta sinistra diffusa, fra gli intellettuali, nelle Università e nelle case editrici, in alcune riviste, che continuano a coltivare un atteggiamento snobistico che si illude di vedere ancora nel popolo palestinese – ormai ridotto al silenzio dai leader di Hamas, della Jihad islamica e dell’Olp – un soggetto rivoluzionario.
D’altra parte l’incapacità o la non volontà di tracciare precise linee di demarcazione a sinistra la si ritrova anche a destra. Ne è prova l’irrisolto problema del rapporto della Lega con Forza Nuova e Casa Pound, i cui militanti partecipano come ospiti graditi alle manifestazioni leghiste, nonostante il carattere indubbiamente neofascista di questi gruppi politici e il loro latente o manifesto antisemitismo
Valentino Baldacci
(21 novembre 2019)