Mandelblit incrimina Netanyahu:
“È la fine di Bibi”. “No, resterà in sella”
Per la prima volta nella storia d’Israele un Primo ministro viene formalmente incriminato mentre è in carica. Per la prima volta nella storia d’Israele viene affidato alla Knesset il compito di trovare al suo interno un candidato in grado di formare un governo, altrimenti si torna al voto per la terza volta in un anno. E anche questo non era mai accaduto.
Tre prime volte che raccontano della difficile situazione politica che vive in queste ore la democrazia israeliana. A segnare in modo profondo il futuro del paese è soprattutto la prima notizia: l’incriminazione del Premier Benjamin Netanyahu per corruzione, abuso di ufficio e frode in tre casi che lo vedono coinvolto. “Oggi è un giorno triste. Il giorno in cui un procuratore generale incrimina un primo ministro in carica con gravi accuse. Netanyahu è un uomo con molti risultati, ho lavorato al suo fianco. Ho preso la decisione (di incriminarlo) con un cuore pesante ma integro. È mio dovere chiarire ai cittadini di Israele che nessuno è al di sopra della legge. È un giorno difficile, ma anche importante”. Queste le parole con cui Avishai Mandelblit, procuratore generale d’Israele, ha annunciato l’incriminazione di Netanyahu, che ha risposto parlando di “Un tentato colpo di Stato contro il primo ministro” e sostenendo che sia “il momento di investigare sugli investigatori: contro di me ci sono state indagini inquinate”.
Le parole del capo del Likud chiariscono che non si farà da parte, anzi lotterà con le unghie e con i denti. Ma il grande interrogativo è se l’incriminazione nei tre casi per cui è stato rinviato a giudizio rappresentino effettivamente la sua fine. “Credo si tratti della fine inevitabile della carriera di Netanyahu. Le domande da porsi sono: come e quando questo avverrà” afferma a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme, per cui la teoria del complotto contro il Primo ministro rappresenta “un attacco senza precedenti alle istituzioni democratiche del paese. Non è un caso che diversi media israeliani abbiano titolato: lo Stato d’Israele contro Netanyahu”.
“Non è una questione di destra e sinistra: un uomo incriminato non può guidare il paese. Lo ha detto lo stesso Netanyahu, ed è paradossale, quando chiese le dimissioni di Ehud Olmert nel 2006. Olmert lasciò l’incarico prima ancora di essere incriminato. Come può non farlo Netanyahu?”. Per l’architetto David Cassuto, già vicesindaco di Gerusalemme, la situazione di Olmert e quella di Netanyahu non sono paragonabili. “Olmert fu beccato che intascava buste dei dollari. Il Primo ministro è accusato di aver distribuito favori”. Secondo Cassuto il leader del Likud paga l’ostilità dei media e della procura e sarà il voto popolare a tirarlo fuori dai guai.
Non saranno gli elettori ma i giudici però a decidere se condannare o meno Netanyahu nei tre casi in cui sarà portato a giudizio per scelta di un procuratore, Mandelblit, che è stato a lungo suo consigliere (il corrispettivo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) e che lui stesso ha nominato in quel ruolo. Una cosa simile è accaduta con Roni Alsheich, ex capo della polizia, nominato da Netanyahu, e sotto il quale sono state portate avanti le tre indagini contro il Premier (ce n’è una terza ancora in corso).
Il primo dei tre casi per cui Mandelblit ha chiesto l’incriminazione è il 4000, il più grave. L’accusa è di corruzione: il Premier avrebbe preso provvedimenti a favore di Shaul Elovitch, l’azionista di maggioranza di Bezeq, la più grande società di telecomunicazioni di Israele, in cambio di una copertura mediatica favorevole su di un sito della stessa Bezeq, Walla.
Negli altri due casi (1000 e 2000), Netanyahu è imputato per abuso di ufficio e frode. Il 2000 fa riferimento a un presunto accordo tra Netanyahu e Arnon Mozes (imputato per corruzione), che detiene la proprietà di uno dei principali gruppi editoriali d’Israele (Yedioth Ahronoth, ynet e canali televisivi): secondo il patto, Mozes avrebbe dovuto dare una copertura positiva a Netanyahu, in cambio quest’ultimo avrebbe indebolito il quotidiano gratuito Israel Hayom, grande concorrente di Yedioth Ahronoth. Israel Hayom è considerato vicinissimo a Netanyahu (Lieberman lo ha paragonato alla Pravda sovietica) ed è di proprietà del magnate americano Sheldon Adelson.
Infine, nel caso 1000 il Premier e la sua consorte Sara sono accusati di aver ricevuto regali dal valore di centinaia di migliaia di dollari da un produttore di Hollywood, Arnon Milchan, e un miliardario australiano, James Pack, in cambio di agevolazioni fiscali.
“Netanyahu è convinto di essere innocente e ha tante persone al suo fianco – afferma Cassuto – Credo che alle prossime elezioni riceverà più voti che alle ultime. Secondo me inoltre la Knesset in questi giorni gli garantirà l’immunità davanti alle accuse e lui aprirà, come ha detto, una causa contro le procure. Ci sono stati fatti oscuri nel modo in cui sono state condotte le indagini”.
Sull’immunità la situazione non è chiara: innanzitutto affinché venga concessa serve il voto della maggioranza della Knesset (61 seggi) e quindi il partito Yisrael Beitenu (8 seggi) di Avigdor Lieberman dovrebbe votare con il blocco dei 55 che appoggiano Netanyahu. Non è affatto scontato che Lieberman salvi il Primo ministro, non dopo averne intralciato in tutti i modi il percorso. Ci sono poi ulteriori complicazioni burocratiche: nonostante due elezioni, la Knesset da dicembre 2018 non ha una maggioranza e quindi non ha potuto ricostituire diverse commissioni, tra cui quella che ha voce in capitolo sull’immunità. È un piccolo esempio della situazione che vive un’Israele ingabbiata in un grave stallo politico, in cui gli interessi di partito sono davanti agli interessi del paese, come ha denunciato il Presidente Reuven Rivlin. “Il vostro destino politico non è più importante del destino della donna anziana in ospedale, dei bambini che necessitano d’istruzione speciale, delle vittime della violenza nel settore arabo, dei residenti del sud, degli ebrei, degli arabi, degli ultra-ortodossi e delle persone laiche bisognose di protezione, e delle donne che hanno bisogno di un riparo” ha detto Rivlin, riferendosi ai parlamentari, che hanno 20 giorni per scegliere al proprio interno un collega che guidi il paese. “Se 61 membri della Knesset si mettono d’accordo Israele avrà un governo ma credo sia altamente improbabile” afferma Della Pergola, che prevede un inevitabile ritorno alle urne, probabilmente a marzo. Sarà Netanyahu a guidare il Likud anche questa volta? “Non vedo chi altri – la posizione di Cassuto – È un edonista ma è anche il miglior premier che Israele possa avere. Non vedo gli altri, con i loro tentennamenti, in grado di fare ciò che ha fatto lui”. Cassuto non vede credibile nessuna alternativa da dentro al Likud. “Gideon Saar è un politico promettente ma il fatto che si sia proposto in questi giorni come nuovo leader credo sia stato un errore. La base del partito è ancora con Netanyahu e così lui si è bruciato. In più si parla di un altro candidato in caso di primarie: probabilmente il ministro Israel Katz e non mi stupirebbe che nel suo passo avanti ci sia lo zampino di Netanyahu. Potrebbe essere stato lui a suggerire a Katz di farsi avanti: gli elettori non con Netanyahu si dividerebbero in due e il Premier ne uscirebbe vincitore”.
Per Della Pergola è invece possibile che il Likud imploda nonostante i giuramenti di fedeltà dei diversi parlamentari al leader. “Netanyahu nelle ultime due elezioni, nonostante abbia accorpato dei partiti, ha perso voti e il trend potrebbe proseguire”. Ogni previsione è in ogni caso impossibile. “Quello che possiamo dire è che Israele assomiglia a una maionese impazzita” aggiunge Della Pergola, ovvero: c’erano tutti gli ingredienti buoni ma lo chef, Netanyahu in questo caso, ha sbagliato qualcosa e ora il risultato non va bene.
Daniel Reichel
(22 novembre 2019)