Una forma di razzismo
“Anche gli ebrei criticano la Segre…” titolava qualche giorno fa Libero in merito all’intervista del Corriere con Alain Finkielkraut, accompagnato anche su altri giornali, nei titoli, sempre dalla dicitura “il filosofo ebreo”. Finkielkraut condivisibile o meno, anche trattando della Commissione Segre sembra assimilare troppo il contesto francese con quello italiano. Ma al di là delle considerazioni del filosofo, non è discutibile la volontà di chiunque nel volersi esprimere come ebreo, come francese, o come libero pensatore, ma quanto l’uso strumentale dei media o dei politici nel ricercare il primo ebreo disponibile che si palesi in un dato modo per creare lo scoop o giustificare determinate tesi. Qualche settimana fa numerose pagine Facebook di partiti della destra sovranista condividevano un post di un ebreo italiano che consigliava alla senatrice Segre di “restare a casa a pensare ai propri nipoti, perché ormai un pericolo per la nostra causa e i nostri interessi”. Come scrisse Davide Assael su queste pagine, si comprende in molti discorsi della Destra quanto “la minoranza ebraica sia sempre più foglia di fico per coprire le peggiori nefandezze”, basta etichettarsi come amici degli ebrei e amici di Israele, e questo dovrebbe mettere a tacere tutto il resto, come la retorica xenofoba o le amicizie e le partecipazione ai convegni di qualche neonazista. Lo stesso indirizzo è praticato anche da certi ambienti anti-israeliani, quando per ripararsi dalle accuse di antisemitismo, citano i Neturai Karta, lo storico Norman Finkelstein o chiunque altro. Volendo è possibile reperire persino ebrei o israeliani negazionisti della Shoah come per esempio Gilad Atzmon. Sia in negativo che in positivo nell’ambiente circostante l’opinione di un ebreo diventa automaticamente la voce di tutti gli ebrei, o il sentimento del “vero ebreo” rispetto al resto che sarebbe composto da persone non distinguibili. Ovvio e neppure da ribadire che circa quattordici-venti milioni di persone al mondo non la pensino tutti in modo uguale, ma ricercare ogni qual volta l’ebreo “buono” o “ragionevole” è come quando per sconfessare il proprio razzismo si racconta dell’amicizia con uno straniero onesto che lavora e non delinque. Ne consegue che questa si tratterebbe soltanto di un rara eccezione. Se ci pensiamo è una forma di razzismo anche questo.
Francesco Moises Bassano
(22 novembre 2019)