Premio Levi a Liliana Segre
L’intervento di Piero Dello Strologo

Quando la sera del 16 dicembre 1990, davanti a un notaio e all’interno di una libreria chiusa al pubblico, una ventina di persone di diverso credo religioso, origine e opinione politica, firmavano l’atto di nascita del nostro Centro, Il nome scelto fu quello di Primo Levi, che deceduto due anni prima, non aveva ancora raggiunto, come è stato da altri ricordato, la fama di testimone e di scrittore che lo rende oggi non solo il simbolo più alto della sofferenza di un popolo ma anche del riscatto ottenuto attraverso una testimonianza priva di odio e di rancore nei confronti della atroce violenza subita.
Due anni dopo, nel 1992 Il Centro istituì, ancora a suo nome, il Premio Internazionale, per onorare coloro che con il proprio impegno morale, spirituale e civile avevano nel corso della loro vita e nella loro storia contribuito alla pace e alla giustizia per un mondo libero da pregiudizi, razzismo e intolleranza ponendosi così nel solco dell’insegnamento da lui portato nel corso della sua vita e nelle sue opere.
Il 26 marzo di quello stesso anno, il Premio, conferito per la prima volta, toccò a Elie Wiesel, per la forza e il coraggio che ebbe di uscire dalla terribile tragedia vissuta con la deportazione nel campo di stermino di Auschwitz offrendosi, per il resto della sua vita, come portatore di pace in un mondo che nasceva dalle rovine della guerra per arrivare ad essere insignito per la sua opera con il Premio Nobel per la Pace del 1986.
Era l’inizio per noi e per il Premio, di un lungo percorso che avrebbe visto avvicendarsi, in questa Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, tante grandi personalità provenienti da molte parti del mondo giunti nella nostra città a testimoniare, con la loro presenza e con i loro interventi, l’alto significato dei valori a cui il Premio si era ispirato.
Poi nel 2010, ripartendo dal ricordo di quel passato che sembrava destinato a entrare nell’oblio, superato dalle tante atrocità che avevano nel frattempo sconvolto il mondo, ritenemmo fosse giusto ma anche doveroso, conferire il Premio a Simone Veil che, coniugava in sé l’immagine di chi aveva subito un’ingiusta sofferenza con la deportazione ma che, proprio in nome di quella ingiusta sofferenza aveva voluto riaffermare, non solo il diritto di vivere ancora, ma anche quello di partecipare attivamente alla vita politica del suo Paese fino a diventare il primo Presidente del Parlamento europeo.
Oggi, è qui tra noi, unitamente al Sindaco di Genova, a ricevere il Premio Internazionale Primo Levi 2019, e la Cittadinanza onoraria da parte della Città di Genova, Liliana Segre, nominata Senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Italiana, una donna forte, coraggiosa e salda nei suoi principi per come ha saputo ripercorrere con grande dignità le proprie sofferenze personali per metterle a disposizione di quelle decine e decine di migliaia di giovani che hanno ascoltato e ascoltano ancora oggi la storia di una ragazza ebrea di quattordici anni respinta nel 1944 con il padre dalla Svizzera, poi deportata con lui e da lui subito separata, per ritrovarsi sola nel campo di sterminio di Auschwitz, cioè in quel mondo concentrazionario dove si consumava l’annullamento dell’ essere umano divenuto ormai solo un numero inciso sul braccio sinistro.
Primo Levi, Elie Wiesel, Simone Veil e Liliana Segre, tutti legati da un destino comune di sofferenza, di sopravvivenza e di riscatto. Tutti portati a rinchiudersi, al momento del loro ritorno a casa, nel proprio mondo di testimoni non ascoltati o non creduti ma tutti poi decisi, in un particolare giorno della loro vita, a rompere con dignità e coraggio l’indifferenza di coloro i cui occhi rimanevano coscientemente serrati come se fosse il solo modo per non vedere che quei mali non solo non scomparivano, con il passare del tempo, ma si riproducevano e, anche se in forme diverse, erano animati dallo stesso elemento costitutivo, il disprezzo del diverso in quanto tale.
Liliana Segre compì lo straordinario gesto di parlare nelle Scuole quando comprese quanto fosse necessario ricordare la più grande tragedia del 900, che l’aveva profondamente segnata, di fronte alla inattitudine di tante menti incapaci di ingenerare nei giovani una memoria viva proprio quando
lo spirito dei tempi anelava a svoltare delle pagine bianche su quanto era accaduto con la voglia di passare oltre.
Quindi il continuare a raccontare ai giovani, per anni e anni, il suo tragico vissuto di ragazza deportata lo ha fatto con una forza di volontà e con una intensità talmente straordinarie, quasi come se avesse voluto parlare anche a nome di quelle decine di migliaia di testimoni sopravvissuti che, al loro ritorno non furono ascoltati o non vollero parlare per paura di non essere creduti.
Molti reduci infatti che rientravano dai Campi nelle loro famiglie, sempre se queste esistevano ancora, provenivano da un luogo così lontano nel tempo e nello spazio da sentirsi ospiti quasi indesiderati in un mondo che appariva loro troppo nuovo anche se era quello stesso da cui erano stati sottratti solo pochi anni prima ma che essi percepivano talmente ostile fino ad arrivare alle volte a rifiutare anche la buona volontà di chi li aveva accolti di nuovo a casa.
Oggi con la scomparsa progressiva dei testimoni, la perdita della memoria si farà sempre più intensa e nascerà anche l’oblio volontario e se spetterà da allora in poi alla ricerca storica farsi carico di quel passato, toccherà a tutti noi ma, e soprattutto a quelli che vivono con un certo fastidio ricordare quei tragici momenti, rendersi conto delle conseguenze fatali che usare oggi certi linguaggi di odio, certi atteggiamenti intolleranti o certe marcate insensibilità di fronte alle sofferenze altrui potrebbe portare al possibile ripetersi di altre e nuove discriminazioni, o addirittura ad altre crudeli emarginazioni.
Perché quello che non si può e non si deve perdere non è solo il ricordo del momento finale di una tragedia accaduta, bisogna anche sempre tenere presente che vi è sempre stato il segmento iniziale che ha messo in moto la catena della tragedia successiva e ricordarlo per non correre il rischio ancora una volta di trovarci impotenti di fronte a un finale doloroso.
Un altro segmento iniziale di cui dovremmo tenere conto dovrebbe essere quel comportamento a cui, nel 1945, Herman Broch, diede il nome di crimine di indifferenza, che sostenne fosse stato il primordiale reato del popolo tedesco sotto il nazismo e che sperava, alla fine della guerra, dovesse dopo le tante tragedie passate, fare ingresso in quanto crimine in tutte le coscienze del mondo.
Ed è proprio questa parola “Indifferenza” che La senatrice Segre ha voluto fosse scolpita a grandi caratteri sul muro dell’ingresso del Memoriale della Shoà, di cui essa è Presidente, e davanti al quale accoglie i visitatori di quello straordinario luogo della memoria posto sotto la Stazione della Centrale di Milano da dove sono partiti, il 6 dicembre 1943 e il 30 gennaio 1944, due convogli di ebrei italiani, tra cui lei stessa, suo padre e tanti ebrei genovesi aventi come direzione finale Auschwitz.
Vorrei dire alcune parole su quanto recentemente è emerso sulle pagine di un giornale italiano circa i violenti attacchi, le parole crudeli di cui è fatta oggetto quotidiano, sulla rete, la Senatrice Segre, da parte di persone che usano l’anonimato per sfogare i loro istinti peggiori nei confronti di una donna che ha avuto il solo torto di essere ritornata nel suo Paese dopo essere sopravvissuta ad un campo di sterminio, per di più costretta oggi a circolare accompagnata da una scorta armata e, prima di terminare, questo mio breve intervento, vorrei chiarire che non eravamo assolutamente a conoscenza di quanto le stava accadendo circa queste violenze di cui era oggetto, quando le telefonammo l’11 settembre scorso, per comunicarle il conferimento del Premio Internazionale Primo Levi per il 2019 e di cui allora non ce ne fu fatto alcun accenno.
Questi atti violenti, da lei subiti e certamente sofferti, hanno dato origine a una straordinaria reazione positiva nei suoi confronti da parte di una grande parte della opinione pubblica italiana a dimostrazione che tante persone avevano capito che, quanto da lei compiuto in questi anni per il nostro Paese, avrebbe lasciato un segno duraturo ormai difficile da cancellare.
Oggi, anche questo dignitoso riserbo di fronte alla cattiveria umana mi ha fatto pensare che mai come quest’anno il Premio Internazionale Primo Levi sia andato alla persona che è risultata oggi veramente la più meritevole di riceverlo, a una donna che, grazie al suo impegno civile e politico e alla sua opera di testimone sopravvissuta, è diventata per moltissime persone il simbolo vivente del coraggio e della determinazione con cui si devono contrastare, nel rispetto dei principi di libertà, ogni manifestazione di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo e di istigazione alla violenza quali risultano anche dalla Mozione da lei presentata e approvata il 29 ottobre 2019 dal Senato della Repubblica italiana.
Per cui, oggi 24 novembre 2019, a Genova, nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, ho l’onore di consegnare, unitamente al Sindaco di Genova, il Premio Internazionale Primo Levi 2019, alla Senatrice a vita Liliana Segre non senza chiudere il mio intervento con poche parole tratte da una poesia, a forma di preghiera, di Primo Levi:
Meditate che questo è stato….

Piero Dello Strologo

(25 novembre 2019)