Un calcio al razzismo, sullo scaffale
L’art. 13 del Codice Disciplinare Fifa 2019 dispone che “Chiunque portasse nocumento alla dignità o all’integrità di un Paese, di una persona o di un gruppo di persone ribassandola, discriminandola o denigrandola mediante parole o azioni per via – segnatamente . del colore della pelle, origine etnica, nazionale o sociale, sesso handicap, orientamento sessuale, lingua, religione, opinione politica, patrimonio, nascita o qualsiasi altro motivo, sarà sanzionato con una sospensione di almeno dieci partite o per una durata specifica, oppure con qualsiasi altra misura disciplinare appropriata”. Il codice calcistico è più avanti di quello domestico, laddove prevede che non si possa ingiuriare Israele. In qualche modo, si tratta di un codice (paradossalmente) antisportivo, in quanto contrasta con lo sport preferito da molti antisemiti, che è quello di oltraggiare non il governo ma la nazione israeliana. Così facendo, sono bandite le interpretazioni di comodo.
In Inghilterra, la Football Association sul proprio web consente di scaricare un pdf dal titolo ”Reporting Discrimination” che, contrariamente a quanto accade da noi, consente di dare un seguito alla denunce. Da noi, gli stewards hanno paura perfino della propria ombra e la loro operatività è pari allo zero. Nella FA “All stewards are trained to deal with these type of complaints and can act discretely and quickly”. Nell’opuscolo “Reporting Discrimination” si trovano tutti i passi concreti da intraprendere nel caso di offese razziste. Da noi, ci si perderebbe in chiacchiere. Sono più di vent’anni che aspettiamo che ci si risponda nei riguardi di una denuncia fatta per un caso di razzismo nello stadio. E se ci domandassimo il perché? Anzi, il sistema per inoltrare denunce potrebbe essere fatto suo dalle istituzioni ebraiche per tutelare i suoi iscritti (wishful thinking?).
Da noi, Cassazione penale sez. III, 13/09/2017, (ud. 13/09/2017, dep. 23/01/2018), n.2734 , per motivi tecnici (tardività dell’impugnazione) non ha potuto rimediare alla liceità riconosciuta in sede di prime cure all’edificante coretto “Cantiamo tutti in coro giallorosso ebreo… R…O… M… A… Roma va a cagà”.
Ora arriva un bel libro di Massimiliano Castellani e Adam Smulevich, per i tipi della Giuntina, intitolato: Un calcio al razzismo -20 lezioni contro l’odio. Smulevich è autore di un fantastico volume (Presidenti. Le storie scomode dei fondatori delle squadre di calcio di Casale, Napoli e Roma, Giuntina, 2017), che ha anche un valore aggiunto, perché spazia fra storia, sociologia e costume con la mano agile e sapiente di chi si fa leggere con piacere, perché sa che cultura e intrattenimento debbono essere inscindibilmente uniti.
È bene che il libro si legga da cima a fondo, fra altro, per capire come “Jews were pivotal in the development of European football” (David Bolchover, Haaretz, 4 aprile 2018). Troverete, nelle pagine di Castellani e Smulevich, la menzione delle gesta di Béla Guttmann, leggendario calciatore e indi allenatore (anche del mio Peñarol). Non dovette cercare di salvarsi dalla Shoà Imre Hirschl, espatriato in Argentina nel 1932, che col suo Peñarol formò la base della nazionale uruguagia che espunga il Maracanà nel 1950). Strano a dirsi, ma anche Guttmann nel suo San Paolo scelse il sistema col quale il Brasile vinse il suo primo mondiale.
Una nota di mestizia: tutto questo è stato spazzato via dalla Shoah e ora sui campi pochi ebrei son rimasti, giusto l’ormai ritirato Juan Pablo Sorin, nazionale argentino, congiunto di una mia amica di Modiin.
Insomma, vogliamo mettere insieme nello scaffale i libri di Adam Smulevich?
Emanuele Calò, giurista