Segnalibro – Quelle mani tese contro l’indifferenza

vesvoDue anni di angoscia, paura per la propria vita e per quella dei propri cari, ma anche di fiducia nell’umanità rafforzata dal contributo che in tanti, ad ogni livello, diedero per la salvezza della famiglia Ancona, per la sua messa in sicurezza dagli assassini che imperversavano.
È un racconto che abbraccia oltre un anno e mezzo di storia italiana quello tracciato da Meir Polacco e Paola Fargion ne Il vescovo degli ebrei, volume che dall’otto settembre del ’43, giorno dell’armistizio, si snoda fino al giorno della Liberazione, il 25 Aprile del ‘45, festeggiato dai protagonisti a Stresa. Proponiamo ai nostri lettori un brano del libro, che sarà presentato questo pomeriggio nel Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, relativo ai mesi che precedettero l’entrata in vigore delle Leggi razziste.

Un racconto dal ’38

Era la metà di giugno 1938 e anche quell’anno Raffaele sarebbe giunto da Milano con tutta la famiglia: Roberto Davide era solito organizzare il loro trasferimento dalla stazione alla casa di papà, non prima però di essere passato dall’Antico Caffè Voglino per comprare un grosso cabaret di meringhe soffici e freschissime, i dolci che i nipotini adoravano.
Quel giorno era molto caldo e la pioggia caduta tutta la notte aveva reso l’atmosfera umida e appiccicosa. La famigliola arrivò in orario e lentamente scesero tutti dal treno: prima i piccoli, poi mamma e papà. Adolfo e Aurelia corsero ad abbracciare zio Roberto Davide e stavano per incamminarsi verso l’uscita quando un gruppo di squadristi dall’aria truce e la camicia nera si parò davanti a loro lungo il binario, a gambe divaricate e con i manganelli in mano.
– Voi sporchi giudei, che ci fate in vacanza? – esclamò il primo con fare canzonatorio.
– Già, che ci fate qui? Il vostro posto è in mezzo ai maiali – incalzò il secondo agitando il manganello.
Raffaele spinse indietro i bambini e li nascose dietro di sé, Rina abbassò la testa arretrando e Roberto Davide fu l’unico ad aprire bocca.
– Egidio, sta’ tranquillo, non mi riconosci? – disse avanzando verso il terzo energumeno della squadraccia.
– Ah, sei tu Roberto… – fece questi assai sorpreso. – Chi sono, tuoi parenti?
– Sì, di Milano – rispose il giovane Ancona senza scomporsi.
– Uhm – mugugnò Egidio. – Guarda che le cose stanno per cambiare, non so per quanto tempo ancora potrete andare in vacanza, voi giudei. –
Fece un cenno con la mano agli altri due e si spostarono per far passare la famiglia che in meno di un minuto scomparve alla vista.
Una volta lontani da quei brutti ceffi Aurelia scoppiò a piangere.
– Mamma, che volevano quei tipi tutti neri? – esclamò singhiozzando.
– Ho paura… – continuò, rifugiandosi fra le sue braccia.
Raffaele restò in silenzio per tutto il tragitto dalla stazione a Via Portici Saracco, mentre Roberto Davide cercò di stemperare la tensione allungando una carezza ad Adolfo che camminava dietro a lui, incollato fra Aurelia, mamma e papà.
Appena la famiglia varcò la soglia di casa, il Rabbino e sua moglie si accorsero subito che qualcosa non andava: Aurelia corse a rifugiarsi nelle braccia di nonna Clotilde; Adolfo restò aggrappato al vestito di mamma e sembrava non volerlo mollare, mentre Roberto Davide e Raffaele chiesero al padre di seguirli nel suo studio.
– Papà, è successo un fatto gravissimo – esordì Raffaele con un nodo alla gola.
– Dimmi – rispose il Rabbino prendendo posto nella sua comoda poltrona di velluto rosso vermiglio.
– I fascisti ci hanno minacciato – continuò Roberto Davide, – e se non fosse che conosco il loro capo, non so come sarebbe finita… Papà, qui le cose si stanno mettendo male…
– È già da un po’ che subiamo angherie – rispose il Rabbino. – Bisogna avere fede, figlio mio… Non tutti possono andarsene. I giovani forse, ma io e tua madre siamo vecchi, ormai… –
Sollevò lo sguardo al Cielo e sospirò.
– Che volete fare voi due, eh? – incalzò. – Non è poi così facile emigrare, lasciare tutto e ricominciare da capo quando si hanno moglie e figli…
– Anche questo è vero – annuì Raffaele.
– Per me sarebbe diverso – interruppe Roberto Davide. – Sono divorziato, non ho figli e ho molti contatti fra Parigi e Londra… Potrei trovare un buon lavoro in qualche grande albergo, rifarmi una vita… E poi far venire tutti voi… –
Il Rabbino Ancona restò in silenzio. Da poche settimane avevano celebrato tutti insieme il Pésach e ricordato le vicende che avevano condotto i loro antenati fuori dalla schiavitù d’Egitto verso la libertà, cantilenando quella melodia che proprio lui aveva composto appositamente per la solenne festività. Mai avrebbe pensato che lì, nella sua amata Italia, potessero ripetersi gli eventi di un passato così lontano e che una volta ancora il popolo d’Israele si trovasse a dover fuggire. Purtroppo però si sbagliava.
– Non prendete decisioni affrettate, figli miei – concluse poco dopo. – Per ora godiamoci questi momenti tutti insieme, restiamo vigili, valutiamo gli eventi e poi… –
La riunione fu interrotta da un paio di colpetti alla porta.
– Adolfo, figli miei, venite che è pronto il tè – annunciò sommessamente Clotilde.
E tutta la famiglia tornò a riunirsi in sala da pranzo davanti al raffinato servizio di porcellana bianca e oro, con la brocca di tè fumante e il cabaret di meringhe proprio al centro della tavola. Adolfo non seppe resistere e si allungò per afferrarne un paio, mentre Aurelia attese il cenno di mamma che le avrebbe permesso di servirsi. Prima però il nonno consegnò un pacchettino alla nipotina.
– Questo è per te – disse con un tenero sorriso.
La piccola Lella scartò il regalo con frenesia e scoppiò in una fragorosa risata.
– Grazie nonno, grazie – disse giubilando davanti alla grossa scatola di bastoncini di liquirizia.
– Ed ecco il regalo per Foffo – esclamò il Rabbino allungandogli un altro pacchetto infiocchettato.
Il bambino trattenne il fiato, poi lo scartò velocemente strappando tutta la carta.
– Ahhh – esclamò dalla meraviglia. – Grazie nonno… Grazie nonna. – E corse ad abbracciarli con in mano il prezioso dono: una scatolina di nanetti Amarelli e… un pupazzetto buffo di stoffa colorata, cucito dalle mani sante di Clotilde!
Il pomeriggio continuò serenamente. Aurelia s’infilò in cucina ad aiutare la nonna che quella sera aveva deciso di preparare il pesto. Subito si sparse ovunque un delizioso e pungente profumo di basilico, un po’ più intenso del solito perché, come precisò la nonna.
– Questo viene dalle colline intorno ad Acqui, me l’ha portato Mafalda, sai? Hanno una cascina vicino a Terzo… e ne coltivano proprio tanto! –
E fra il buon profumo di basilico e il suono del pianoforte che il nonno accarezzava con maestria iniziarono le vacanze estive del 1938 per i nipotini milanesi del Rabbino Capo di Acqui Terme.

(28 novembre 2019)