Specchi infranti,
pietre rotolanti
L’improvvida decisione della municipalità di Schio, ovvero di una parte del suo Consiglio comunale, di non provvedere all’installazione delle pietre d’inciampo, in memoria di quattordici cittadini deportati e poi assassinati nei lager nazisti, parrebbe quasi appartenere al campo delle bizzarrie sgradevoli, ma incongrue e in fondo secondarie del nostro tempo. Tutto ciò se non fosse per il fatto che, ancora una volta, solleva il coperchio sullo stato di programmatica ostilità che una parte, purtroppo non indifferente, della nostra politica nutre nei confronti della storia. Con effetti drammatici sul presente. Riguardo alla motivazione del rifiuto, quella della “divisività” che le caratterizzerebbe, qualche parola ad intenditore forse occorre esrpimerla. In estrema sintesi (lasciando una casella vuota, la decima, da completare a piacimento): la memoria civile è divisiva per sua natura. Separa ciò che consideriamo accettabile dall’inaccettabile. Funge a questo, altrimenti sarebbe una colossale finzione. Possono coesistere memorie distinte, finanche antitetiche, ma è sempre e comunque una bufala colossale quella che evoca, vaticina, sollecita simmetrie e condivisioni – ovvero intercambiabilità – tra storie che ci restituiscono semmai i conflitti di cui è costellata l’esistenza umana. Fare memoria non vuol dire mettere un coperchio su questo processo di evoluzione e trasformazione attraverso la contrapposizione. Non è un pensiero “comunista”, semmai è un riscontro liberale (e libertario);
la “par condicio” in storia (come in tanti altri campi dello scibile e delle relazioni umane) è il rifugio degli insipienti, ossia di quanti non sanno come argomentare gli atteggiamenti e le proprie condotte, di cui comunque, a conti fatti, non intendono portare responsabilità alcuna per i concreti effetti che essi producono, anche di lungo periodo;
i falsi abbracci, dove si simula una consensualità inesistente, sono simmetrici e speculari alla maniacalità paranoide e bipolare di chi, evitando di interrogarsi sul senso delle cose, le classifica da subito tra “destra” e “sinistra”, per poi in genere invocare un falso superamento delle “divisioni” a favore di una specie di unità organica, che ha tanto il sapore di una fittizia uniformazione al conformismo che avanza: tutti vittime, in ipotesi; nessuna vittima, per davvero;
il ricordo del passato non deve acquietare e sedare ma, piuttosto, inquietare. Una memoria vigile non è quella che unisce ed affratella nel sonno pesante della consapevolezza ma quella che ci impone di verificare costantemente se le condizioni della coesistenza e della coesione siano vigenti oppure si stiano progressivamente spegnendo;
una democrazia è pluralista nelle sue forme e nei suoi contenuti di identità, di storie, di percorsi e così via. Altrimenti non è democrazia ma altro. Il “totalitarismo reale” non è solo quello che ci deriva dai regimi storici che l’hanno praticato politicamente ma anche da quel vuoto desolante di pensieri che alberga nella banalità di non pochi dei nostri contemporanei;
la banalizzazione, in questi casi, è un male radicale: indica la decontestualizzazione, l’estraneità insolentita, l’incomprensione totale della profondità di tante tragedie personali e di quel dramma nazionale, corale, quale fu l’occupazione nazifascista: chi a ciò risponde con l’evocazione dei gulag, delle foibe, dei “regolamenti di conti”, in un rancido pareggio storico, non intende rendere omaggio a coloro che precipitarono negli abissi del passato ma offendere quanti si adoperano affinché questo non abbia più a ripetersi;
è poi insopportabilmente “banale” questa riduzione della memoria delle persone trascorse a continuo chiacchiericcio: l’unico antidoto che viene in mente è l’invito ad andare a leggersi un gigante del Novecento quale rimane Vasilij Semënovič Grossman. A patto – si intende – che si sappia leggere parole, righe, pagine che gocciolano, come fosse sangue, la storia dell’umanità che cerca di sopravvivere; chi non riesce a fare i conti con la sua sua e l’altrui storia, assumendosi le responsabilità che gli competono, è bene che prima si guardi allo specchio e poi, storcendo la bocca, lo infranga: la sua coscienza sta, semmai, in uno di quei molecolari frammenti, non in un quadro di insieme che non riesce neanche a concepire, ovvero quello della cittadinanza costituzionale e democratica;
la pietre possono essere d’inciampo, ed allora stanno posizionate sul selciato urbano, a ricordarci qualcosa; altrimenti, il rischio è che ci rotolino addosso, qualora ci si dimentichi di quale memoria esse siano effettive depositarie. Memoria dura, come la loro materia.
Claudio Vercelli
(1 dicembre 2019)