Rav Sierra, conoscenza e apertura
A dieci anni dalla scomparsa, la figura di Rav Sergio Sierra z.l. è stata recentemente analizzata a Torino da un bel convegno che ha messo in luce il grande apporto culturale e umano donato dal Maestro all’ebraismo, italiano e non solo. Moked ne ha già riferito nei particolari, ma mi sembra importante in questo mio spazio settimanale dedicargli alcune riflessioni personali, perché la sua visione del mondo e il suo modo di coniugare l’ebraismo costituiscono per me un importante punto di riferimento. Poiché sono nato e cresciuto a Firenze, non ho avuto la fortuna di frequentare le sue lezioni nel periodo della mia formazione; ma indirettamente posso dirmi suo allievo per la forza formativa della sua concezione, che per me rappresenta un’autentica bussola nel misurare il mio essere ebreo rispetto alla società circostante.
Nella sua vita come nella sua opera, da un lato emergono lo studio e la cultura, intesi come sguardo ebraico sul mondo. La visione ebraica era per lui tensione conoscitiva volta a cogliere l’insegnamento morale dietro ogni acquisizione di contenuti, la ricerca della giustizia in ogni singolo aspetto della tradizione, con l’attenzione costantemente volta all’intera società. Il popolo ebraico deve in questo senso essere l’esempio, il punto di riferimento per l’umanità. Il fulcro del suo pensiero è insomma l’interpretazione dell’ebraismo come mondo etico in chiave profondamente universalistica. “Il valore etico delle mitzvot”, l’analisi interpretativa degli scritti di Bahya ibn Paquda, l’insieme dei suoi vari studi confermano questa sua visione. E non si tratta di lavori di puro perfezionismo accademico, bensì del frutto di un’introspezione articolata volta a capire e conoscere per individuare la via onde migliorare se stessi e il mondo: il Tikkun ‘olam è il senso di fondo e la meta insieme della ricerca di Rav Sierra. Un modo di considerare e di vivere l’essere ebreo pregno di un significato perenne e perfettamente attuale, in un mondo purtroppo così tendente alla superficialità etica, così portato a trascurare l’impegno fattivo per i valori morali.
Dall’altro lato, emergeva in Rav Sierra l’apertura continua al mondo non ebraico, l’interesse e il coinvolgimento verso la società intorno a lui, ai suoi problemi, alle sue mete: un interesse ebraico, perché per lui l’ebraismo non poteva arroccasi nella semplice conservazione di sé, nella permanenza in un distacco dalla realtà umana generale. Questo atteggiamento di apertura disponibile e partecipe sarebbe prezioso oggi, quando nonostante gli sbandierati ecumenismi spesso prevale la chiusura dei vari mondi religiosi e non religiosi in settori separati e introiettati, volti più al perfezionamento interno ed esclusivo (talvolta addirittura a una sorta di fondamentalismo) che al confronto conoscitivo/costruttivo con l’altro da sé.
Sergio Sierra è stato un personaggio di vorace curiosità intellettuale pronto a impegnare l’ebraismo nel confronto produttivo con la società. Altri furono simili a lui, per esempio il prof. Carlo Ottino, che non era ebreo ma certo era un profondo conoscitore e sostenitore dell’ebraismo. Anche lui – che pure annovero tra le persone a cui più sono spiritualmente debitore – coglieva nell’ebraismo e nel suo impulso messianico una spinta al cambiamento, un tentativo continuo e pragmatico di migliorare l’uomo, i suoi rapporti col prossimo, lo stato complessivo dei rapporti sociali.
Chissà, pur nella distanza di formazione tra un Maestro in Israele e un docente di filosofia campione di laicità, forse questo accostamento non sarebbe spiaciuto a Rav Sierra, che conosceva bene e apprezzava – credo – il prof. Ottino.
David Sorani