Periscopio
La forza della legge

lucreziMi rendo ben conto che affrontare la questione della incriminazione del premier Netanyahu, della presumibile fondatezza o infondatezza delle accuse a lui rivolte, dell’opportunità che egli si dimetta, prima ancora di una esplicita condanna a suo carico pronunciata dalla magistratura, della fiducia o sfiducia che si debba riporre negli inquirenti e dei giudici che si sono occupati e si occuperanno della sua posizione, e della loro maggiore o minore presumibile credibilità e imparzialità, è un compito difficile e delicato, perché una sola parola in più o in meno rischia di fare automaticamente ascrivere a uno dei due opposti partiti dei supporter o degli avversari, dei “colpevolisti” o degli “innocentisti”, facendo così immediatamente guadagnare l’approvazione degli uni e la riprovazione degli altri.
Ma devo dire che rifiuto assolutamente una schematizzazione di questo tipo. Ho detto più volte che a me, cittadino italiano, non compete entrare nel merito delle scelte dell’elettorato israeliano, e che non ho diritto di dire chi, dei vari politici israeliani, sia migliore o peggiore. Ho, naturalmente, le mie idee e simpatie (e antipatie), ma non ho il diritto di “fare il tifo” per questo o quel partito, standomene tranquillamente seduto nella poltrona di casa mia. Lo avrei se anch’io pagassi le tasse in quel Paese, se fossi andato a rischiare la pelle nell’esercito per difenderlo, o se ci andassero oggi i miei figli o nipoti. Altrimenti, no. La mia scelta di campo, da sempre e per sempre, è una sola, molto chiara e semplice: a favore, sempre e comunque, della democrazia di Israele, della sua civiltà, della sua storia, dei valori che essa incarna, che sono confluiti nel piccolo stato attraverso una catena millenaria, risalente – così come richiamato nella Dichiarazione di Indipendenza – agli antichi Profeti d’Israele. L’Israele di oggi è questo, per me: libertà, giustizia, umanesimo, democrazia, stato di diritto. Un sodalizio di uomini liberi e uguali, che attinge la sua forza e la sua autorità dalla comune convinzione di essere tutti – senza eccezione – difesi e sottomessi alle leggi, secondo le immortali parole di un grande uomo libero del passato (non ebreo, né amico degli ebrei [anzi]), Cicerone: legum omnes servi sumus, ut liberi esse possimus.
Immagino già le possibili obiezioni a queste mie considerazioni, che – sulla base di diversi commenti letti sui media in questi mesi e anni – immagino improntate a due diversi ordini di considerazioni.
Alla prima categoria appartengono quelle difese del premier basate sull’assunto che i magistrati sarebbero prevenuti, in quanto “di sinistra”. Ora, nessuno è perfetto, e nessuno, appunto, è al di sopra della legge, neanche i poliziotti e i magistrati. Anche loro possono sbagliare, e il sistema giudiziario di uno stato di diritto non è certo quello in cui le accuse degli inquirenti si traducono automaticamente in condanne. I procuratori sono diversi e indipendenti dai giudici, il ruolo degli avvocati difensori è sacro, e ci sono più gradi di giudizio. L’idea che gli inquirenti sbaglino in cattiva fede, ossia prefiggendosi di mandare in galera un uomo che sanno innocente, per alterare volutamente gli equilibri politici del Paese, è di una gravità enorme, qualcosa davvero di estremamente infamante. Ma, per chi non conosca direttamente il caso, e in modo approfondito, non è possibile, purtroppo, escludere neanche questo. Ma una cosa è accusare un singolo magistrato di essere falso e disonesto, e un’altra, ben diversa, è bollare genericamente l’intero sistema giudiziario come marcio e corrotto, in quanto integralmente “di sinistra”. Chi sostiene questo – e c’è chi lo fa – mostra di non avere in nessuna considerazione la democrazia di Israele, la sua civiltà giuridica e la serietà delle sue istituzioni. Sarebbe davvero una cosa terribile, Israele sarebbe un Paese perduto, non varrebbe la pena impegnarsi tanto per difenderlo, e sarebbe senza senso continuare a ricordarne la presunta superiorità morale sui suoi nemici.
Ma leggo anche altri commenti di critica al procedimento giudiziario in corso, basati su una diversa motivazione. C’è, infatti, chi sostiene – giusta premessa – che Israele è un Paese in guerra, minacciato da mille insidie, e allora – errata deduzione – sarebbe pericoloso rimuovere dal posto di comando chi – colpevole o innocente – avrebbe dimostrato di saperlo difendere con sicurezza e lungimiranza. “Chiudere un occhio” sul piano della legalità, quindi, non sarebbe forse la cosa migliore sul piano giuridico e morale, ma converrebbe comunque, a livello di mera Realpolitik.
Siffatte argomentazioni, a mio avviso, non tengono in considerazione l’enorme importanza che, per la tenuta e la sicurezza del Paese, ha la fiducia dell’opinione pubblica nell’esistenza di un sistema di giustizia che sia davvero rigoroso e ineccepibile, e non conosca mai nessuna eccezione e nessun favoritismo. Questa fiducia rappresenta un elemento imprescindibile della forza di Israele, ed è parte integrante della sua stessa efficienza militare. Un dittatura può permettersi di mandare i soldati a combattere su semplice ordine del “capo”, il quale ha ragione per definizione, e sulla cui onestà o disonestà nessuno è chiamato a pronunciarsi. Ma questo Israele non potrà mai permetterselo. I tanti giovani soldati che sono partiti per il fronte in difesa del loro Pese, e i tanti che sono caduti nell’adempimento del loro dovere, non lo hanno fatto per obbedire a un capo, ma nella motivata convinzione di servire una piccola comunità legata da un patto inviolabile, che ha proprio nell’idea di giustizia il suo primo e insostituibile collante. E nella quale il Primo Ministro ha gli stessi diritti e gli identici doveri del più umile e dimenticato dei cittadini.

Francesco Lucrezi

(4 dicembre 2019)