La bomba e i disagi utili
Migliaia di persone allontanate dalle proprie case per un giorno. Altre decine di migliaia costrette a chiudersi in casa con le persiane abbassate dalle 9 alle 17 (cioè praticamente in tutte le ore di luce). Altre ancora (chissà quante, forse centinaia di migliaia) che per un bel po’ di giorni hanno calcolato alcuni minuti in più per ogni spostamento dovendo ogni volta aggirare la bomba che bloccava la via principale e costringeva alle strade secondarie inevitabilmente intasate.
Un disagio piccolo ma persistente, anche per chi, come me, ha avuto la fortuna di trovarsi per pochi isolati fuori dalla zona interessata; ma certo non posso lamentarmi se penso agli abitanti della zona gialla relegati in casa domenica scorsa, che a loro volta non possono lamentarsi se pensano agli abitanti della zona rossa evacuati, che a loro volta non possono lamentarsi per un ordigno del 1942 se ricordano o hanno sentito narrare qualcosa di quegli anni: le sirene, le corse ai rifugi, la necessità di chi era sfollato di tornare comunque ogni giorno in città per lavorare affrontando viaggi difficoltosi e pericolosi; per non parlare di chi era colpito, dei danni, dei lutti. Peraltro per sentirsi fortunati non c’è bisogno di tornare indietro con la mente a 77 anni fa: basta pensare ai tanti luoghi nel mondo che sono ancora in guerra, anche a quelli relativamente tranquilli come Israele.
Ci volevano una bomba della seconda guerra mondiale e i disagi tutto sommato contenuti di una domenica di pioggia per farci ricordare che ciò che per noi è scontato (entrare uscire di casa all’ora che vogliamo, andare dove vogliamo e quando vogliamo in tempi che possiamo ragionevolmente prevedere) non è scontato per molti in molte parti del mondo, e non è stato scontato in questi stessi luoghi.
La guerra è una cosa talmente lontana da noi, talmente impensabile, che forse non siamo neppure più in grado di apprezzare il valore inestimabile della pace. Mi viene in mente quello che ho letto e sentito dire più volte a proposito dei vaccini: hanno funzionato troppo bene, così bene che qualcuno li ritiene superflui perché non sa o non ricorda più cosa fossero le epidemie. Forse in Italia sta succedendo lo stesso con la guerra: qualcuno la sta dimenticando a tal punto da considerare superflui i vaccini (la democrazia, il rifiuto dell’odio, il rispetto per i diritti umani, e soprattutto l’Unione Europea) che l’hanno tenuta lontana da noi così a lungo.
Chissà, forse i disagi di una vecchia bomba in una domenica torinese potrebbero anche avere avuto una loro utilità, se avessero offerto almeno a qualcuno l’occasione per riflettere almeno un poco. Ma non ci conterei troppo, con i brutti venti di irrazionalità, ignoranza e disinformazione sistematica che spirano di questi tempi.
Anna Segre
(6 dicembre 2019)