Anna Bravo (1938-2019)
È scomparsa all’età di 81 anni Anna Bravo, storica, accademica e saggista italiana.
Grande esperta di Primo Levi, aveva consacrato la sua vita di studiosa alla difesa della Memoria, ma anche ai diritti delle donne e all’affermazione di principi di uguaglianza e rispetto nella società. Membro del Comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer e dell’Istituto per la storia della resistenza Giorgio Agosti oltre che del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario di Levi, è stata autrice di molti libri tra i quali Sopravvissuti, scritto con Liliana Picciotto Fargion (ed. Alinari, 2004), La conta dei salvati (ed. Laterza, 2013) e Raccontare per la storia (ed. Einaudi, 2014). Fondamentale il suo testo del 1987, scritto assieme a Daniele Jalla e con prefazione dello stesso Levi: La vita offesa: storia e memoria dei lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti (ed. Franco Angeli, 1986). Diversi gli articoli a sua firma pubblicati in questi anni da Pagine Ebraiche.
Una perdita grave per tutta la comunità degli studiosi. La ricorda con emozione Anna Foa: “Sulla Memoria – afferma – ma anche su tanti altri temi di storia, dalla storia delle donne alla trasmissione della storia, ci siamo confrontate, in particolare quando, alla fine degli anni Novanta, abbiamo lavorato insieme per alcuni anni, lei, Lucetta Scaraffia e io, a un manuale per le superiori edito da Laterza. Un lavoro innovativo, almeno nelle nostre intenzioni, e forse proprio per questo rimasto di nicchia nel panorama dei manuali scolastici”. Molti, prosegue Foa, “sono i libri scritti da Anna, la maggior parte dei quali di storia delle donne e di riflessione sulla Shoah, i campi di sterminio, il pacifismo, i genocidi. Era intelligente, lucidissima, priva di qualsiasi conformismo, anzi sempre combattiva e in prima linea a demolire ovvietà e luoghi comuni. Nella sua vita aveva fatto molta politica: il PCI, il Sessantotto, Lotta Continua, negli ultimi anni la Fondazione Langer. Ma scriveva libri di storia, non giornalistici. Aveva una scrittura piacevole, vicina all’espressione letteraria, lontana da quella pesante dell’accademia. Aveva ancora molto da dare, da scrivere, da studiare. Ci mancherà”.
Alberto Cavaglion ricorda il suo amore per la verità, costi quello che costi, “che l’ha portata a fare giustizia di molti luoghi comuni”. Per esempio, afferma Cavaglion, sul tema-tabù della violenza “non esitò a dire tutto quanto andava detto”. Ciò che la mise spesso ai margini, “come una voce scomoda”. Anche sull’atteggiamento della sinistra extraparlamentare di fronte a Israele il suo apporto coraggioso non è mai mancato. Anticipa Cavaglion: “In un suo scritto, probabilmente il suo ultimo, consegnato poche settimane fa e dedicato al volume curato da Mario Toscano (L’Italia racconta Israele. 1948-2018, Viella ed.), articolo che sarà pubblicato sul prossimo numero della Rassegna mensile di Israel, ha scritto: ‘L’impressione (una fra le molte, ma imperiosa) è che settori non trascurabili (e di varie tendenze politiche) della stampa italiana abbiano per decenni coltivato una loro idea di ‘Buon Ebreo’ – la cui bontà si misurava innanzitutto sull’asprezza della critica pubblica a Israele”. Parole importanti di una storica e di una storiografia “sciolta dai dogmi”.
(9 dicembre 2019)