Identità è rappresentazione

Giorgio BerrutoDa alcuni anni quello dell’identità è uno dei temi caldi, uno di quelli di cui si sente discutere nei salotti televisivi e in approfonditi editoriali sui giornali, ma di cui si parla, con differenti registri, anche nei bar e per strada. Anche nel piccolo mondo ebraico italiano se ne parla con passione, salvo scontrarsi spesso con la passione di altri che ha magari la stessa intensità, ma una direzione diversa. Forse parliamo di identità, ovvero di chi siamo, perché a proposito sentiamo di non avere molte certezze e che perfino quelle che alcuni cercano a tutti i costi di conservare non sono poi così certe. Il discorso naturalmente non vale solo per l’identità ebraica: per esempio, chi non ha mai assistito e partecipato a discussioni sull’identità occidentale, europea, italiana, romana, monteverdina vecchia e monteverdina nuova? Credo che sia giusto mettere in questione lo strumento, quindi il concetto stesso di identità, prima di continuare a incaponirsi cercando risposte che rimangono contraddittorie. L’identità viene spesso impiegata come categoria di analisi, mentre a ben vedere dovrebbe essere considerata esclusivamente per quello che è, una categoria cioè di rappresentazione. L’identità è rappresentazione innanzitutto di sé, autorappresentazione dunque, perché viene utilizzata per alzare barriere e in questo modo distinguere noi da loro. Noi ebrei, noi italiani, noi valebunenchi (per chi non è cresciuto nel ponente ligure, si tratta degli abitanti del piccolo borgo di Vallebona, e vi posso assicurare che ce ne sono di fierissimi di questa loro identità). Il discorso è valido per l’affermazione delle identità in positivo – quasi sempre le proprie – ma anche in negativo. Qualche esempio tratto dall’attualità: gli islamici, i clandestini, i profughi, i migranti, gli extracomunitari; ma anche gli ebrei, nel pensiero di molti e nel linguaggio di alcuni. Attribuirsi e attribuire identità, insomma, mi sembra che risponda non alla domanda “chi siamo?” ma semmai “chi vorremmo essere?”, “come vorremmo essere riconosciuti?”, “come vorremmo riconoscere altri?”.

Giorgio Berruto

(12 dicembre 2019)