Amicizie morbose
“Molti di voi sono nel settore immobiliare, perché io vi conosco molto bene. Voi siete killer brutali, niente affatto persone simpatiche. Ma anche se non vi piaccio, non avete scelta, dovete votare per me!” Questi e altri stereotipi sulla presunta ricchezza e sul ruolo nel business degli ebrei sono stati pronunciati dal Presiedente Donald Trump in un discorso all’Israeli American Council, accusando inoltre nuovamente gli ebrei statiunitensi di “non amare troppo” Israele. Numerosi gruppi ed organizzazioni ebraiche hanno criticato le parole di Trump, in un paese dove secondo i dati dell’Anti-Defamation League, l’antisemitismo da quando è iniziato il mandato del presidente ha visto un picco del 150%. A seguito della strage di Jersey City, Trump ha poi approvato un decreto che definirebbe l’ebraismo una nazionalità e non più soltanto una religione, “con l’obiettivo” secondo i funzionari della Casa Bianca, “di incentivare il contrasto e la prevenzione di atti di antisemitismo”.
A tal proposito è utile ricordare che un’altra potenza mondiale la quale considerava gli ebrei una nazionalità e non una religione era l’Unione Sovietica. Come sappiamo, la questione delle nazionalità non russe divenne uno delle principali preoccupazioni di Iosif Stalin. Le minoranze sia interne che esterne subirono sotto Stalin un numero incalcolabile di persecuzioni, deportazioni, internamenti nei gulag ed uccisioni, specialmente durante la “grande guerra patriottica”, ovvero la Seconda guerra mondiale combattuta sul fronte orientale. Ai già detestati ucraini, polacchi, e alle popolazioni turche come i tatari o caucasiche come ingusci e ceceni, si aggiunsero in quel periodo coloro come i tedeschi, i greci, i bulgari, i giapponesi che erano divenuti sospetti e “responsabili collettivamente” perché i loro paesi d’origine erano coinvolti nel conflitto in corso. In realtà molte di queste popolazioni, come per esempio i tedeschi del Volga, erano sul territorio russo ormai da generazioni. La minaccia peggiore per Stalin erano le nazionalità dotate di uno stato proprio. Stalin per mobilitare le masse durante la guerra aveva rispolverato al pari dei fascisti europei il nazionalismo russo intriso di antisemitismo, manie di grandezza e tradizionalismo, infatti proprio in quegli anni avvenne anche una distensione nei rapporti con la Chiesa Ortodossa. Persino il passato zarista diventava nuovamente accettabile, si ricordi l’apprezzamento del dittatore per il film “Ivan il Terribile” di Sergej Ėjzenštejn, e il blocco della seconda parte perché troppo critico nei confronti dello zar. Per quanto un gran numero di ebrei perì nelle Grandi purghe del 1936-38, facendo sì che l’apparato sovietico divenne sempre più omogeneamente russo, e i segnali fossero già presenti nell’aria con il patto Molotov-Ribbentrop del 1939, gli ebrei nella lotta contro il nazismo facevano in qualche modo ancora comodo. Essi divennero invece ufficialmente “pericolosi” nel dopoguerra, quando con il pretesto della nascita di Israele entrarono a far parte delle “nazionalità infide” perché collegate con uno stato estero e quindi sospette di doppia fedeltà e spionaggio. Israele tra l’altro aveva ottimi rapporti con gli USA e il resto dell’Occidente divenuto nemico. Non è ben chiaro se l’antisemitismo di Stalin fosse legato alla sua incommensurabile paranoia o dovuto soltanto al nuovo sciovinismo. Nonostante Lenin avesse costruito le basi del regime sovietico con le sue strutture repressive, egli, forse anche per le sue origini materne, era invece apparentemente esente sia dall’antisemitismo che dal nazionalismo russo, era anzi culturalmente più legato all’Europa occidentale. Stalin probabilmente sin dall’inizio non ha mai avuto in simpatia gli ebrei, sebbene, come Trump per l’appunto, avesse intorno numerosi colleghi, mogli di essi (poi ugualmente deportate), e persino nipoti con queste origini, ma il suo antisemitismo ebbe modo di venire alla luce formalmente soltanto negli ultimi anni della sua vita. Questo excursus non è certo per tracciare un parallelismo tra Iosif Stalin e Donald Trump, e tanto meno per accusare quest’ultimo di essere un antisemita o un dittatore sanguinario, ma può essere interessante per riflettere sull’uso politico e strumentale che viene fatto della minoranza ebraica da parte di molti leader contemporanei, sia quando si esprime sotto sembianze amorevoli che discriminatorie. La storia insegna che anche la morbosa amicizia da parte di alcuni governanti non è mai disinteressata e può facilmente trasformarsi a seconda del momento in qualcos’altro.
Francesco Moises Bassano