Superare la politica del risentimento, la sfida delle democrazie occidentali
“Dopo due elezioni e all’inizio di una terza campagna elettorale, credo sia un momento critico anche per l’opinione pubblica israeliana, che sceglierà i propri leader. La democrazia israeliana era ed è ancora fonte di orgoglio, e sappiamo che il sistema democratico ha un costo. Prego che la profondità dell’attuale crisi politica e le divisioni che essa evidenzia tra di noi ci porteranno, come società e come paese, a lottare non solo per il diritto di non essere d’accordo tra di noi – ma anche per il dovere di trovare ciò su cui possiamo essere d’accordo”. È l’appello lanciato in queste ore dal Presidente d’Israele Reuven Rivlin alla luce della crisi politica che perdura nel paese, che ha portato all’ennesimo scioglimento della Knesset e a terze elezioni. Rivlin ha invitato gli israeliani ad avere fiducia nella democrazia israeliana e, di fronte all’ennesimo fallimento del parlamento nel trovare un accordo, non si tratta di un appello gettato al vento: secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, da gennaio 2019 a novembre 2019 c’è stato un calo significativo tra coloro che alla domanda “che voto dai oggi allo stato della democrazia israeliana?” hanno risposto eccellente o buono. Per lo scrittore David Grossman, in Italia per promuovere il suo ultimo libro La vita gioca con me (Feltrinelli), la crisi del sistema israeliano è evidente. “La persona che più di tutti ha scosso la fiducia degli israeliani nelle istituzioni, nel loro sistema democratico è il nostro Primo ministro, il che rende il tutto più pericoloso e scivoloso. – afferma a Pagine Ebraiche Grossman – Quando giorno e notte accusi la polizia, la Corte suprema, i media di voler sovvertire l’ordine democratico cosa dovrebbe pensare l’israeliano medio?”. Per lo scrittore il paese deve superare un altro problema molto in voga nelle altre democrazie occidentali, il risentimento e il vittimismo. “Quando vivi nella condizione di vittima non hai spazio per gli altri e non senti nessuna responsabilità di prendere il controllo della situazione. Vedi te stesso come senza potere, come un prodotto delle circostanze e non come qualcosa che tu hai creato. Non ti prendi nessuna responsabilità per la situazione. Ti comporti quasi come se fossi un bambino umiliato e insultato. Ma la realtà è diversa”. Questo atteggiamento rancoroso e un po’ infantile si rivede anche in Italia e in Germania con effetti simili e allo stesso tempo diversi, come hanno raccontato a Pagine Ebraiche il presidente di Swg Maurizio Pessato e il politologo Gian Enrico Rusconi, protagonisti del dossier Patria e nazione del giornale dell’ebraismo italiano attualmente in distribuzione. “Gli indicatori che emergono nella nostra ricerca In modo diverso – 1997- 2017: come è cambiata l’opinione pubblica italiana, ci raccontano del risentimento che cresce in quella parte ampia di popolazione che o ha sofferto di più la crisi o che, man mano che se ne esce, non riesce a godere pienamente della ripresa economica”. Dal 2014, spiega il presidente Swg, i dati raccontano di un paese uscito dal cono della crisi ma non in modo egualitario, con tanti italiani che hanno perso potere d’acquisto, altri che non stanno male ma non vedono avverarsi le promesse di un benessere economico come in passato. Tutti si rendono conto che l’Italia è un paese dai piedi d’argilla e questo fa montare rabbia, paura e risentimenti che crescono con il tema dell’immigrazione. “Gli italiani – spiega Pessato – sentono di aver perso i privilegi, le pensioni, c’è nostalgia per il passato e paura per il futuro. E in questo contesto riemerge l’antisemitismo”. Gli ebrei diventano un bersaglio in quanto altri, in quanto si presume non facciano parte di quel “noi italiani” che hanno perso benessere e privilegi. Vittimismo, sconfittismo, rancore diventano così ingredienti pericolosi di un’opinione pubblica che “nessuno accompagna verso una direzione costruttiva. Il disagio viene raccolto dalla politica ma non vengono restituite alternative per costruire un paese diverso. Aleggia invece – spiega Pessato – un’opinione che esalta tutto ciò che non va”. La classe dirigente non sa dunque rispondere ai problemi oppure li cavalca. Una situazione che, spiega Rusconi intervistato dal direttore di Pagine Ebraiche Guido Vitale, tocca l’Italia quanto la Germania. “I due sistemi sono in crisi. La classe politica tedesca sembra più solida, mentre da noi è il caos. C’è una forma di dissoluzione del sistema politico italiano, che in Germania sembra tenere. A meno che non venga fuori una destra con un carattere autoritario. In Germania il sistema è molto più solido. Il modello dei vecchi partiti è rimasto. Ma stiamo attenti a non farci ingannare dalle apparenze”. Per Rusconi i tedeschi, a differenza degli italiani, hanno ancora “una classe politica che possiamo lodare per la sua stabilità, ma non sa più bene cosa fare. E nei nostri confronti resta nel migliore dei casi una benevola supponenza. Certamente i due sistemi sono diversi, ma anche i tedeschi stanno attraversando una crisi enorme. Il mio ultimo libro porta il titolo Dove va la Germania e avrei voluto aggiungere: ‘Da nessuna parte’. Non hanno la nostra situazione patologica, ma sono alle prese con problemi enormi”. In questa crisi si incunea il nazionalismo populista che avanza in Germania, in Italia, in Francia. “Il paradosso – spiega il politologo – è che i nemici della vera Germania siamo noi, e qui emerge la profonda ignoranza dei nazionalisti nostrani che cercano sponde dove non ne possono trovare. In realtà dietro al valore della nazione e dietro la parola nazionalismo c’è ben altro. C’è una propensione al risentimento. Dobbiamo ancora trovare le parole per descrivere questo sentimento”.
Il risentimento è stato anche uno dei motori della Brexit ma in Gran Bretagna – dove ha stravinto il partito conservatore di Boris Johnson – la situazione appare ancor più complicata. “È difficile trarre una conclusione inequivocabile dall’enorme vittoria del partito conservatore britannico e dalla sconfitta dei laburisti. – spiega su Haaretz Anshel Pfeffer – C’è chi vorrebbe vedere, con ottimismo, il rifiuto totale da parte dell’opinione pubblica britannica di Jeremy Corbyn, della sua politica radicale, afflitta dall’antisemitismo e dall’odio dell’Occidente. Altri vedranno, con ansia, l’ascesa del nazionalismo antieuropeo e del populismo della xenofobia e degli immigrati a immagine del cinico Primo Ministro Boris Johnson. È molto probabile che le componenti di entrambi i fenomeni qui si mescolino”. Per Pfeffer, così come per il mondo ebraico britannico, la sconfitta di Corbyn è un risultato positivo e fa tirare un sospiro di sollievo a chiunque sia consapevole di quanto fosse pericoloso il suo radicalismo e la sua incapacità di contrastare l’antisemitismo. Il giornalista però – critico di Johnson e della Brexit – auspica che il nuovo Primo ministro adotti d’ora in avanti un atteggiamento più moderato, meno incline a solleticare le paure e i risentimenti dei suoi concittadini. Un auspicio che può essere esteso, come rilevano le analisi di Grossman, Pessato e Rusconi, a tutte le democrazie occidentali.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked