La palude, le sardine e noi
Statistiche eterogenee contribuiscono, con dati assai chiari, a gettarci in un cupo sconforto circa il presente e il futuro della società italiana. Secondo l’ultimo rapporto Censis il 48% degli italiani ritiene che i problemi del paese sarebbero risolti affidando il potere a un uomo forte, che non debba preoccuparsi né di elezioni né del Parlamento. La percezione dell’intolleranza che si respira nella nostra società è in sensibile aumento. Secondo la stessa fonte, sette italiani su dieci notano un forte incremento di razzismo e il 58% denuncia una palese crescita di antisemitismo. Il nono Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione ci dice che in dieci anni l’Italia ha perso 250mila giovani, spinti all’estero dalla ricerca di una formazione più adeguata agli standard europei e sopratutto dall’estrema difficoltà di trovare in patria un lavoro adeguato e dalle possibilità molto maggiori che altri Stati europei offrono sul piano occupazionale. Purtroppo – e da ex insegnante liceale ne soffro particolarmente – la carenza del nostro sistema formativo è confermata dalle indagini Ocse-Pisa 2018: solo in matematica i quindicenni italiani risultano in media con gli altri Paesi; per il resto l’Italia è abbondantemente sotto e addirittura tra il ventitreesimo e il ventinovesimo posto per capacità di lettura; solo uno studente su venti, leggendo un testo su un argomento non particolarmente familiare, saprebbe distinguere i fatti dalle opinioni.
Sono dati allarmanti, che danno il quadro di un Paese in crisi di identità, di una situazione stagnante e anzi di tendenza al ribasso, sia dal punto di vista della coscienza civile sia nella prospettiva più generalmente formativa e culturale. Il futuro che si prepara è grigio, non costruttivo, non autonomo, non pienamente libero: una realtà assai difficile per i giovani d’oggi; un’eredità pesantissima per i giovani di domani.
Non è facile spiegare il gap formativo degli studenti italiani rispetto ai loro coetanei europei, anche perché vista dall’interno la nostra scuola (almeno ai migliori livelli liceali) appare capace di fornire una preparazione piuttosto approfondita e di sviluppare anche un basilare senso critico. Credo che le sue difficoltà rispetto agli attuali standard europei siano principalmente legate al modello formativo gentiliano che ancora la informa: un modello certo di altissimo livello culturale, ma forzatamente inadeguato alle esigenze della società informatizzata di oggi. Anche nel nostro sistema scolastico il web ha fatto passi da gigante (talvolta forse danneggiando aspetti più tradizionali e più profondi della formazione); permane però nel fondo, rispetto a quanto richiede l’attuale realtà media europea, una discrepanza di metodo che rischia di divenire di sostanza.
Sulla base di una capacità formativa non pienamente in linea coi livelli previsti, ciò che sopratutto preoccupa rispetto alle statistiche di cui sopra è la convergenza negativa tra la crescente tendenza autoritaria, ricollegabile all’affermazione del sovranismo di massa, e la perdita di capacità creativa/costruttiva a livello civile e politico. L’autoritarismo che pare affermarsi nelle attese della gente, beninteso, non è la tendenza aggressiva che spinge verso un totalitarismo in agguato; è piuttosto la rassegnazione prona e asservita di chi ha perso un autentico senso di cittadinanza e senza risorse proprie preferisce delegare la gestione dello Stato a un potere forte e duro. Non siamo ancora alla dittatura, insomma, ma alle sue condizioni preliminari. Si sta cioè perdendo in modo visibile il senso della democrazia e la coscienza del suo ruolo. E tutto ciò è condito con un risentimento interiorizzato e impaurito nei confronti delle istituzioni. Occorre dire, per il vero, che l’azione dell’attuale governo giallorosso non incoraggia atteggiamenti molto diversi, prigioniera com’è di faide interne e priva di una linea guida riconoscibile e utile al Paese.
Nella piattezza rassegnata e quasi generale di questa palude, si è acceso ultimamente a Bologna, Firenze, Napoli, Milano, Torino un barlume di speranza diffuso soprattutto dai giovani. Al loro apparire, le sardine – gruppi di spontanea reazione all’odio e alla volgarità crescenti – sembrano davvero un richiamo alla cultura, al buonsenso civile, al dialogo, alla politica costruttiva e aperta all’altro. Per ora siamo solo alle prove generali; vedremo se sapranno mantenere le promesse di opposizione popolare al populismo e trasformarsi in un mezzo di rafforzamento della democrazia.
In una situazione di aridità, di oscurità prevalente e di fiochissima luce, che cosa può fare la piccola minoranza ebraica italiana? Al di là della sua naturale distribuzione in varie aree ideologiche, due mi sembrano le direzioni obbligate: da un lato mantenere e approfondire la sua identità culturale, cioè una coscienza ebraica consapevole e aperta al mondo; dall’altro vivere la realtà politica e sociale italiana con impatto autonomamente critico, in grado di costituire uno stimolo costruttivo e un pungolo democratico accanto a quelli provenienti da altre minoranze culturali.
David Sorani
(17 dicembre 2019)