Periscopio – Presidi di pluralismo

lucreziHo trovato di grande interesse l’articolata risposta data, sul Corriere della Sera – e ripresa sull’edizione mattutina di questa Newsletter dello scorso 4 dicembre -, da Rav Roberto Della Rocca, Direttore del Dipartimento Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, a Ernesto Galli Della Loggia, riguardo alle osservazioni da questo precedentemente formulate sul tema dell’identità ebraica e sulle ragioni del montante antisemitismo europeo. Per secoli, ricorda il Rav, la posizione degli ebrei della diaspora si è identificata con quella dei portatori di una cultura di minoranza, per definizione subalterna a quella di maggioranza, a cui era obbligatoriamente chiamata ad adeguarsi e sottomettersi. Il passaggio da tale visione all’antisemitismo è così automatico: se tu sei palesemente inferiore a me, è naturale che qualsiasi cosa tu faccia o non faccia possa essere oggetto di accusa, sospetto, dileggio, o peggio. Se la tua identità è quella di un “Vecchio Testamento” (inteso come un “Testamento ormai vecchio)”, anche tu sei vecchio, sorpassato, molesto. Tu stai ai margini, negli angoli, nell’ombra, ed è naturale che, in occasione delle ricorrenti operazioni di “riordino” o “pulizia”, qualcuno sia tentato di spazzarti via. Spesso citati nei libri di testo scolastici unicamente come “popolo antico”, e scomparsi dalla storia con la distruzione di Gerusalemme del 70 E.V., gli ebrei ricompaiono poi improvvisamente, nel XX secolo, solo come vittime della Shoah. L’identità ebraica appare così caratterizzata da molteplici stigmi di negatività: popolo vecchio, popolo invisibile, popolo vittima. Mai niente di attivo, di vitale, di propositivo. E, soprattutto, mai un cenno a quella “resilienza culturale e identitaria che ha visto gli ebrei continuare a esercitare quel ruolo di minoranza che vive e che lotta affinché ci siano sempre culture di minoranza”.
Le parole di Della Rocca sono molto importanti, in quanto richiamano quella che è sempre stata una funzione essenziale dell’ebraismo, e che ne rappresenta uno dei principali e più preziosi meriti storici, ossia l’essere sempre stato portatore di differenza, alterità, dialogo, contro ogni monopolio dei “pensieri unici”. Questa è stata la sua forza, la sua energia, e questa una delle principali ragioni dell’avversione dei suoi nemici. Non stupisce, da questo punto di vista, che tanti cd. “sovranisti” si dicano amici di Israele, pur contando nelle proprie fila antisemiti dichiarati. Ognuno a casa propria: gli ebrei stanno bene in Israele, fuori possono pure stare, purché facciano i bravi, e si adeguino ai ‘valori’ della maggioranza, come i membri di tutte le minoranze (perché “ognuno è padrone a casa propria”), nei limiti del possibile (anche se non potranno mai affidarsi al ”cuore immacolato di Maria”).
Ma chi sostiene teorie del genere mostra (in buona o cattiva fede) di vilipendere l’essenza dell’ebraismo, e di ignorare quella sua funzione primaria di “minoranza che vive e che lotta affinché ci siano sempre culture di minoranza”. Non solo, mostra anche di ignorare cosa sia lo stato di Israele, che, proprio in quanto Stato ebraico, tutto è tranne che un agglomerato identitario puro, compatto e omogeneo, bensì, come ricorda Della Rocca, “uno Stato plurietnico, che ha raccolto, nel corso di più di cento anni di evoluzione, persone, storie, culture e identità accomunate dal richiamo a un ebraismo plurale e diversificato quanto a origini e prospettive”.
Mi rendo ben conto che questo piccolo presidio di pluralismo, libertà, differenza è minacciato, e deve essere difeso. Come lo si potrebbe dimenticare? Ma appare tuttavia assai discutibile sorvolare sul perché ciò accada, non vedere le ragioni di questa avversione, che vanno ricercate anche nel rifiuto di questa vocazione di Israele quale naturale “patria delle minoranze”, che riprende e attualizza una tradizione millenaria. Così come è paradossale difendere l’ebraismo (o fingere di farlo) e praticare, nei confronti delle minoranze, un atteggiamento che è l’esatto contrario della funzione storica e dei principali valori morali dell’ebraismo stesso.

Francesco Lucrezi, storico