Machshevet Israel
Caino, Camilleri e il midrash

massimo giulianiIn una recente sessione di studio promossa dal Collegio rabbinico italiano e dedicata al tema dell’odio, in tutte le sue declinazioni e ahinoi sempre d’attualità, il professor Gavriel Levi ha affrontato quell’argomento difficile che è l’odio religioso, anzi l’odio teologico, del quale è permeata tutta la storia (non solo religiosa) dell’Occidente. E ha evocato il mito biblico prototipo di ogni violenza: Abele e Caino. Come si evince dai testi, l’approccio del midrash a quell’autentico ‘peccato d’origine’ (altro che mela o fico!) è estremamente realistico e teso ad evitare la santificazione del primo e la demonizzazione del secondo. La ‘colpa’ di Caino sarebbe stata di essere… più veloce di suo fratello. Le ragioni dell’odio poi – se di odio si trattò – sarebbero molteplici, almeno secondo il Bereshit Rabbà: per i beni di questo mondo (terra e vestiti di pelli); per il diritto a una stessa donna (sia Caino sia Abele avrebbero avuto delle gemelle); per il luogo su cui costruire il Tempio (ecco la ragion teologica in azione). Potere, sesso, religione: tre cause sempre valide per odiare. “Disse rabbi Jochanan: essendo Abele più forte, aveva atterrato Caino. Allora questi gli disse: siamo gli unici figli al mondo, se mi uccidi che dirai a nostro padre? Abele si impietosì, e così Caino si alzò e lo uccise. Per questo dicono: non fare del bene al malvagio…” (22,8).
Questa illuminante pagina aggadica sul primo omicidio della storia (se volontario o involontario, dato il contesto primordiale, è arduo dire ma la distinzione è dirimente) è stata ben studiata dallo scrittore Andrea Camilleri e posta al centro della sua ultima fatica letteraria e teatrale, ora pubblicata da Sellerio con il titolo Autodifesa di Caino. Dopo averci ammaliati con la straordinaria Conversazione su Tiresia, una rilettura del mito greco sul dramma dell’identità androgina dell’essere umano in rapporto agli dèi, prima di andarsene Camilleri ci ha lasciato la seconda parte del suo testamento spirituale, seconda pala del suo dittico laico sul destino umano: una potente riflessione sulla figura biblica di Caino quale vero padre dell’umanità, assassino e creatore ad un tempo, fondatore di città ossia della civiltà, di cui è dimensione essenziale la musica. Mito greco e racconto biblico, ecco le due coordinate della nostra eredità culturale. Ma chi fu, chi è veramente Caino? Per rispondere, il grande scrittore siciliano si è immerso prima nelle fonti del pensiero ebraico tradizionale, i midrashim raccolti da Louis Ginzberg e riletti da Elie Wiesel, e poi nelle rivistazioni ‘moderne’ di Coleridge e del Belli, di Borges e di Dario Fo. Più che rispondere, Camilleri ha preferito immaginare questa ‘autodifesa’ cainesca in forma di confessione dinanzi a una corte, il pubblico dei lettori/auditori, e lasciare alla fine a noi il verdetto, una risposta “secondo coscienza”, un giudizio meno preconcetto sull’uomo-simbolo del male, dell’odio fraterno e della maledizione blindata addirittura da un’impossibile vendetta/giustizia (“nessuno tocchi Caino”).
L’incipit di questa autodifesa non poteva che essere l’incipit della stessa creazione, non solo in termini biblici ma proprio midrashici: così Camilleri immagina i primi uomini come ‘statuine di nanetti’ degni di ogni giardino borghese, dice, che Dio avrebbe costruito per abbellire il suo giardino, a dispetto del consiglio degli angeli che cercarono di dissuaderlo perché… del giardino avrebbero fatto scempio. Midrash sul midrash, che tuttavia conserva il pathos e la ratio dei maestri nel tentativo di spiegare l’inspiegabile. Perché, alla fine, è impossibile condannare Caino senza condannarci, come esseri umani. È impossibile spiegare l’odio, e va da sè che è impossibile espungerlo dal nostro cuore o bandirlo dal novero dei nostri sentimenti. Bastasse non usare ‘parole d’odio’ per non odiare! Nel loro grande realismo i maestri di Israele sanno che quel che non possiamo abrogare in forza di un mero wishful thinking, lo possiamo o meglio lo dobbiamo regolare. E sebbene la Torà sia chiara nell’ammonire: “Non coverai odio contro un tuo fratello nel tuo cuore” (Waiqrà/Lev 19,17; cfr. Rambam in Hilkhot de’ot VI,5-9), i maestri sanno che esistono odii diversi in gradi diversi per cause diverse. Questo sentimento negativo va pertanto messo al servizio della pace trasformandolo attraverso un dialogo con il fratello odiato. Caino ha ucciso, fanno notare i maestri, perché non riuscì a (o non volle?) colloquiare con Abele. Dice il testo: “E disse Caino a suo fratello Abele e accadde che mentre erano in campagna sorse Caino contro suo fratello Abele e lo uccise” (Bereshit/Gn 4, 8). Disse cosa? Cosa voleva dire, cosa avrebbe dovuto dire… resta un mistero del cuore di Caino. Non è un caso che il poeta israeliano Dan Pagis abbia scelto questa tragica scena biblica per stigmatizzare quel che accadde ad Auschwitz: “qui in questo trasporto/ io eva/ con mio figlio abele/ se vedete il mio ragazzo più grande/ caino figlio di adamo/ ditegli che io”. Inizio simbolico della storia, il fratricidio diventa la sua cifra più tragica e l’emblema di quell’odio gratuito che – gli angeli del midrash lo avevano ben intuito – può portare alla rovina l’intero giardino. E così possiamo capire meglio Caino, trovargli mille attenuanti e persino una mirabile difesa teologica, ma possiamo davvero assolverlo?

Massimo Giuliani, Università di Trento