Setirot – Le sardine e noi
Le sardine e noi, ovvero noi e le sardine. Cioè a dire l’ultima conferma – se ancora ce ne fosse stato bisogno – di come si sia perduto il senso non tanto del confronto, ché quello è stato abbandonato da tempo, quanto “il senso” proprio in quanto senno. Di ciò che potrebbe significare questo movimento spontaneo antifascista antirazzista “educato” non violento, a noi interessa nulla, indipendentemente dallo schieramento del proprio pensiero politico. A noi importa unicamente che al comizio romano sia stata data voce anche a Nibras Asfa, giovane musulmana, moglie di Sulaiman Hijazi, militante palestinese dalle tesi super estremiste e probabilmente vicino a Hamas. Sull’indubbio, e grave, errore concentriamo ogni sforzo di analisi socio-ideologica. Ma a chi chiedere conto dell’incidente? Ho scritto incidente, sì, incidente. Perché una presenza sbagliata su un palco dopo che in pochi giorni le piazze d’Italia e non solo d’Italia sono state pacificamente invase da centinaia di migliaia di donne e uomini, per lo più giovani – lasciatemelo dire – non è altro che un incidente. E non autorizza di sicuro a gridare all’antisemitismo. Non autorizza a gridare all’antisemitismo né a permettere il germogliare di insulti razzisti degni degli anni più neri della storia.
Detto ciò, a scanso di equivoci, la mia opinione sulle sardine è semplice. Si tratta – penso – di un sommovimento carsico, sempre e da sempre vivo (per fortuna aggiungo) che di volta in volta emerge, poi si tace e emerge ancora sospinto dal plumbeo e mortifero dilagare di atmosfere reazionarie illiberali portatrici di odio. Nel dopoguerra è accaduto con la beat generation, il Sessantotto, i girotondi, il popolo viola e quello arancione a Milano. Cambieranno il mondo? Certamente no. Porteranno una ventata di aria fresca nel clima politico e culturale? Forse. Speriamo. Ma guai a dirlo. Subito la faida prende piede. Tanto violenta quanto ignorante e miope.
È triste si sia arrivati a questo punto. È preoccupante che Noemi Di Segni, presidente dell’UCEI, senta di dover lanciare l’allarme (come riportato da Dario Calimani qualche giorno fa) poiché «sui social ebraici vengono pubblicati post intrisi di parole offensive, deliranti della ragione di sé e del torto altrui, di ripetute illazioni generiche senza circostanziare fatti e comportamenti ritenuti non condivisibili, post giudicanti con superiorità saccente il fare o l’essere degli altri correligionari e verso le nostre stesse istituzioni… ». Significa che il senno è davvero stato perduto.
Stefano Jesurum