Il dibattito fuori dal web
Verso quali mari nuotano le “sardine”? Non esiste per adesso una risposta chiara a questo quesito, perché per quanto stiano emergendo all’interno del movimento dei portavoce e forse dei leader, questo è nato spontaneamente ed è ancora un qualcosa di molto eterogeneo. Oltre all’antifascismo e alla lotta contro le discriminazioni razziali, l’ideale che sembra unire le sardine – lo si desume dai sei punti del loro programma – è quello di sganciare la politica dai social network per estrometterne soprattutto il linguaggio violento e d’odio, e riportare così i politici a fare politica all’interno delle sedi opportune, non più ad aizzare le piazze. Non sono poche però le fratture che lasciano intendere una loro prematura scomparsa o una ridefinizione come vero e proprio movimento più circoscritto. Per esempio hanno sollevato polemiche e provocato l’allontanamento di alcuni iniziali sostenitori la censura alla manifestazione di Piazza San Giovanni delle “sardine nere” – una “frangia” formata soprattutto da migranti e richiedenti asilo -, il presunto invito rivolto ai militanti di Casa Pound, la “troppa” vicinanza alla campagna elettorale del Partito Democratico, o la richiesta di abbassare una bandiera rossa alla manifestazione di Firenze. Inoltre a molti non è piaciuto l’invito sul palco di Roma a Nibras Asfa, il cui marito, Sulaiman Hijazi, avrebbe più volte espresso sostegno sulla propria pagina Facebook all’organizzazione terrorista di Hamas. Sulla vicenda è intervenuto due giorni dopo Lorenzo Donnoli, uno tra i “fondatori” bolognesi. In un’intervista a Open egli prendendo le difese sia di Asfa che di Hijazi afferma “che sull’argomento [il conflitto israelo-palestinese] non avremmo dovuto neppure esprimere un’opinione perché non ne abbiamo parlato dal palco”. In seguito, scrive Donnoli sulla propria bacheca, “supportare la causa palestinese non significa essere contro Israele, (precisando anche di “sentirsi ebreo/israeliano e di amare questo paese e difenderlo strenuamente”) ma solo contro la sua estrema destra politica”. Non è probabilmente granché chiaro a Donnoli che “lottare ogni giorno affinché l’antisemitismo, peggiore piaga dell’umanità, venga debellato” – come continua nello stesso post – non è in sintonia con il dare spazio acriticamente a chi simpatizza per Hamas. Ciò però ugualmente non dovrebbe gettare fango su un’intero movimento ancora sfumato e diversificato da luogo a luogo, il quale ha preso vita grazie al desiderio di ritrovarsi liberamente e pacificamente nelle piazze senza simboli o bandiere di partito. Questo episodio illustra semmai nuovamente come purtroppo il conflitto israelo-palestinese faccia di continuo capolino nel dibattito politico locale facendo sì che coloro che lo affrontano riescano difficilmente a smarcarsi dagli attori coinvolti, anche quando questi ultimi assumono istanze insostenibili. Ma tralasciando i portavoce e le loro posizioni individuali ambigue, qualunque sia il destino del movimento delle sardine, queste sono vettrici di un idea di cui potremmo tutti fare tesoro: l’idea di riportare il dibattito (politico, ma non solo) fuori dal web e dai social networks. I gruppi chiusi, le pagine, le chat virtuali, per quanto nate come luoghi potenzialmente d’incontro, sono diventati dei comportamenti stagni e delle barriere che non hanno portato altro che discordia ed incomprensioni tra tutti noi. Divergenze che spesso nella vita reale si sarebbero potute tranquillamente risolvere con un caffè riparatore o una stretta di mano. Abituarsi a pensare che il web possa diventare un succedaneo all’incontro e al dialogo con l’altro è un pessimo errore da non commettere.
Francesco Moises Bassano
(20 dicembre 2019)