Insegniamo la Bibbia
Le questioni aperte dalla polemica sull’improvvido articolo di Dacia Maraini non sono riducibili alla più o meno velata accusa di antisemitismo. Non mi sembra questo il tema principale. Certo è inaccettabile quel che ha scritto Maraini, ma è altrettanto grave che il Corriere l’abbia pubblicata. Il problema è – a mio parere – la valutazione di quanta e quanto profonda sia nella società italiana la non conoscenza dei fondamentali della cultura religiosa, considerata ad ampio spettro. I programmi scolastici della nostra repubblica delegano alla Chiesa cattolica l’insegnamento religioso nelle scuole dell’obbligo. Ne derivano troppo spesso corsi confessionali che non fanno in alcun modo riferimento ai testi (la Bibbia, i Vangeli) in maniera sistematica mentre prediligono lezioni catechistiche e improvvisate incursioni nella sociologia. Nulla che insegni agli studenti che compiono l’opzione dell’insegnamento della religione le basi sistematiche di quella cultura religiosa: cos’è la Bibbia, com’è strutturata, in quali lingue è stata scritta e trasmessa, quale immaginario ha prodotto sulla nostra società. Gli studenti che non compiono la scelta di insegnamento della religione sono invece lasciati generalmente a loro stessi (e caliamo un velo pietoso sui corsi “alternativi”). La mancanza di questo insegnamento provoca fra l’altro la difficoltà evidente di comprendere appieno parti consistenti del programma scolastico regolare: la storia dell’arte (intrisa di simbologie religiose), la filosofia (che da noi è storia della filosofia, in parte intrecciata in maniera dialettica con l’immaginario religioso cristiano), la storia, la letteratura. Le università hanno sì incluso insegnamenti di storia delle religioni, ma in maniera assai reticente e poco diffusa. L’assunto giacobino che l’università sia il tempio del sapere laico ha impedito per troppo tempo di comprendere quanto ancora sia importante nella contemporaneità il peso assunto dalle religioni e dalle gerarchie che tendono a rappresentarle. Ne deriva – fra l’altro – che manchiamo degli strumenti necessari a comprendere e a combattere i fondamentalismi, che tanti danni stanno facendo nel mondo.
Poco stupore, quindi, se anche importanti intellettuali come Dacia Maraini utilizzino nel loro discorso pubblico cliché di subcultura religiosa senza sapere bene di cosa stiano parlando. Semplicemente non sono stati educati ad essa, mentre ancora echeggia nel loro immaginario l’insegnamento di una vecchia Chiesa preconciliare che trasmetteva l’immagine della Bibbia ebraica come espressione di una religione violenta e vendicativa, contrapposta al Vangelo di pace e di perdono. Di certo l’intellettuale – se tale pretende di essere – dovrebbe limitarsi a scrivere di quel che sa. Ma il problema non è solo l’intellettuale. Lo ribadisco, è un problema di cultura diffusa e di conseguenti necessarie politiche da mettere in atto per porre rimedio a uno stato di fatto inaccettabile. Un primo tassello dovrebbe essere l’introduzione dell’insegnamento della Bibbia come fondamento della cultura letteraria occidentale. La sua conoscenza elementare avrebbe impedito ai redattori del Corriere della Sera di accettare come testo pubblicabile quello di Dacia Maraini il 24 dicembre, ma anche la vignetta di Sergio Staino dell’8 dicembre (sempre con parallelo incosciente fra Gesù e sardine), o ancora l’articolo del 26 novembre di Galli Della Loggia, infarcito di superficialità sul rapporto storico fra ebraismo e cristianesimo.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC