Un gioco che richiede cautela
I tentativi (più o meno riusciti, più o meno forzati) di attualizzare le festività religiose, di attribuire loro un significato politico, di trovare analogie con eventi contemporanei sono comuni a tutte le culture, compresa quella ebraica. E anche da noi c’è chi cerca di ritrovare nel passato le categorie di oggi, chi vede riproporsi eternamente il conflitto tra progressisti e reazionari. Ricordo per esempio che all’Hashomer Hatzair la rivolta dei Maccabei e le vicende che hanno dato origine alla festa di Chanukkah venivano presentate come una sorta di lotta di classe, la battaglia delle classi più povere rimaste fedeli alla cultura ebraica contro le classi più ricche ellenizzanti per convenienza (forse dal punto di vista storico questa tesi non è del tutto campata per aria, anche se è un modo un po’ riduttivo di guardare al significato della festa). Del resto la stessa scelta dei nostri Maestri di attribuire maggiore importanza al miracolo dell’olio che alla vittoria militare dei Maccabei è stata anche da un certo punto di vista una scelta politica a cui si possono facilmente attribuire significati legati all’attualità.
Dunque non c’è da stupirsi o scandalizzarsi più di tanto se qualcuno fa così anche con il Natale presentando il cristianesimo delle origini come un movimento progressista e rivoluzionario. La differenza sta nel fatto che nessuno rivendica l’eredità culturale di Antioco IV (si ammira certamente la cultura greca, ma molto di più quella dell’Atene dell’età di Pericle che quella ellenistica), così come non c’è nessuno che si sente discendente degli antichi Egizi, di Nabuccodonosor o di Amalek. Noi ebrei, invece, esistiamo ancora e, anche se in effetti abbiamo poco a che fare con l’establishment ebraico di duemila anni fa, siamo stati a lungo percepiti (e in qualche modo ci percepiamo noi stessi) come suoi eredi. E dunque tirare in ballo gli ebrei di duemila anni fa come esempio negativo non è innocuo come prendersela con Antioco.
Forse questo ci offre lo spunto per una riflessione più generale. Quando una religione o ideologia nata come fenomeno di rottura diventa quella dominante, quando quella che era nata come minoranza diventa maggioranza, ogni messaggio rischia di essere stravolto e rovesciato nel suo esatto opposto: quelle che erano nate come critiche al potere diventano legittimazioni del potere; quelle che erano nate come battute provocatorie diventano pregiudizi radicati; quelle che erano nate come argomentazioni nell’ambito di un confronto interno diventano pretesti per prendersela con qualcuno percepito come diverso; quella che era nata come un’opinione di minoranza diventa uno strumento per dare addosso alle minoranze. E così un discorso che nelle intenzioni voleva essere progressista rischia di trasformarsi di fatto in un discorso reazionario.
Anna Segre