Oltremare – Pianisti
Ho scoperto che almeno per me una possibile risposta alla nuova e preoccupante onda di odio e di antisemitismo dall’Europa all’America è immergermi in luoghi reali o dell’anima pieni di ebrei e di persone differenti da me per colore della pelle o per lingua madre, e stare lì in silenzio ad osservare. Ieri sera per esempio, ero stata invitata alla serata finale di una premiazione finale dopo l’annuale competizione di pianoforte per bambini e giovani ad Ashdod, e andandoci non avevo immaginato quanto aliena sarebbe stata la mia presenza.
L’intero auditorium parlava per il 90% in russo, e gli adulti si rivolgevano a me in russo come se fosse ovvio che fossi di origine russa anche io, forse per via dei miei colori chiari oppure per il semplice fatto di essere lì ad ascoltare bambini talentuosi in una serata gelida e ventosa di Chanukkah. I bambini invece fra loro parlavano esclusivamente ebraico.
Trattandosi di una premiazione, i bambini e ragazzini erano vestiti di scuro, ma non in completo e con cravatta, mentre le bambine e ragazze sfoggiavano il vestito della festa, corto o lungo, chiaramente scelto da loro (fiori e farfalle applicate) o chiaramente scelto da mamme rampanti (nero vedo-non-vedo): tesoro è il tuo momento, le foto, il palco, i giudici, sorridi mi raccomando che faccio il film col cellulare!
Ma trattandosi di musica classica, tutti i pianisti dai sei anni in su prendevano la cosa tremendamente sul serio. I due vincitori nella sezione dei più giovani hanno aperto la serata zittendo anche la più emozionata delle mamme. La prima aveva nove o dieci anni e suonava con modalità Sirenetta, essendo anche rossa di capelli la cosa era ancora più netta: schiena dritta, magra senza essere legnosa, sorriso molto timido, e mani che sul pianoforte parevano onde del mare che rotolano sul bagnasciuga, a tempo. Il secondo era alto un metro e un tappo di coca cola, biondino e scattante, con i capelli sparati in testa e troppo concentrato per poter anche sorridere. Suonava piegato sui tasti come se si volesse mangiare il panoforte a morsi, preciso e lucido, e mi sono domandata se è così già a sette anni cosa potrà fare nella vita.
Uscendo ho riprogrammato il cervello sull’ebraico e ho fatto due conti: in Israele ci sono ancora sacche monoculturali, ma nel giro di una o due generazioni da oggi il mito del nuovo ebreo, israeliano che pensa in ebraico, sarà in massima parte realizzato. Poi che suoni o meno uno strumento musicale, è questione di stimoli, tempo e voglia di studiare, come in tutti gli altri paesi. Chiamala se vuoi, normalizzazione.
Daniela Fubini
(30 dicembre 2019)