Setirot – Il rischio dell’implosione
L’odierna Setirot è una lettera aperta che scrivo a chiunque abbia a cuore la nostra keillah, indipendentemente da ideologie, grado di osservanza e di fede, militanza politica. La questione è che, secondo me, il rischio di una implosione al nostro interno è altissimo, un disastro che atterrisce e comporta grande sofferenza.
Chiedo scusa se scriverò per fatto personale – credo di farlo davvero raramente –, ma è la mia coscienza identitaria a impormelo.
Allora… Poche ore dopo aver letto e riletto l’ormai “famosa” opinione di Dacia Maraini sul Corriere della Sera, posto su Facebook un commento inusitatamente duro per il mio stile: sostengo che quelle parole sono una vergogna per chi le ha scritte e per chi le ha pubblicate senza commentarle, ovvero il giornale dove ho vissuto per decenni e che è, come si usa dire, parte importante della mia esistenza. Compio, giudicandolo a posteriori, uno sbaglio: parlo di antisemitismo invece che di antigiudaismo, errore non da poco. È la mattina del 24 dicembre. Da lì decine, centinaia di commenti, positivi e negativi, tutti o quasi incentrati sul merito del mio sdegno; com’è uso sui social alcuni tracimano nell’insulto e nella aggressività. Vabbè.
Due giorni dopo, nel Setirot del 26, approfondisco. Sostengo che le violenze verbali suscitate dal primo post sono particolarmente preoccupanti poiché – in vergognoso stile preconciliare e con, stavolta sì, affermazioni antisemite – arrivano da individui palesemente “normali”, presumibilmente acculturati ma “teologicamente” così ignoranti e/o in malafede da rimettere in circolo gli stereotipi antigiudaici che furono, sono stati e sono i pilastri portanti dell’antisemitismo. Sottolineo che la “normale” violenza preoccupa più degli «ahimè numerosissimi lego-fascisti ormai abbonati a insultare e minacciare il sottoscritto e chi esprime idee simili…».
Risultato: in stile prettamente squadrista un gentiluomo sbatte su Facebook una mia fotografia “segnaletica” senza nominarmi cosicché i commenti siano alle mie spalle, innescando così una lunga e duratura gogna mediatica che raccoglie anche interventi degni di una Procura della Repubblica o di un Beth Din. Già, sì, perché il grosso problema in questi tempi bui di antisemitismo è che tutto ciò accade in buona parte all’interno della società ebraica. Ecco, io credo che qualcuno di autorevole dovrebbe proprio dire basta.
Stefano Jesurum, giornalista
(2 gennaio 2019)