Il Comune ebraico
Il 4 gennaio 1920 si insediava a Firenze il nuovo, assai discusso, Consiglio della Comunità ebraica di Firenze. Era un’epoca turbolenta e le energie delle giovani generazioni, appena uscite dalla lunga prova delle trincee della grande guerra, si riversavano nella politica e nell’azione. L’Italia viveva il biennio rosso e le squadracce fasciste già facevano capolino in alcune provincie. L’Italia ebraica viveva con episodi inediti questo passaggio generazionale e la vivacità del confronto politico entrava anche nelle vecchie stanze delle Comunità. Da Firenze, nel nome di una orgogliosa rivendicazione nazionale, veniva scritto un telegramma dai toni forti alle altre comunità ebraiche: “Comunità Israelitica Firenze per mezzo sua rinnovata rappresentanza manda saluto consorelle d’Italia, e mentre riconosce missione Comunità nel rappresentare ogni luogo unità storica ideale popolo Israele, le chiama a raccolta perché diano opera concorde preparare nuovi destini nazione ebraica, nella terra degli avi”. Il nuovo Consiglio di Firenze, presieduto da Leone Morpurgo a cui si associavano nomi di rilievo quali Alfonso Pacifici, Enzo Bonaventura e Carlo Alberto Viterbo, aveva deciso di esporre alla porta degli uffici la “bandiera ebraica” oltre a quella italiana, e di lì a poco si sarebbe organizzato alla stregua di un “comune”. L’esperienza non durò molto, anche per il rifiuto da parte della minoranza a collaborare a questo azzardo. Dopo pochi mesi la comunità fu commissariata per decisione della locale Corte d’Appello, presieduta da Aristo Mortara, fratello dell’allora ministro guardasigilli del governo Nitti, Ludovico Mortara. Si tratta tuttavia di un episodio molto interessante e da studiare al netto di ogni retorica. Nel 1920 si discuteva molto nelle comunità ebraiche di rinascita nazionale, e nel medesimo tempo era forte come non mai l’idea di essere parte di una nazione – quella italiana – uscita vincitrice dalla prova bellica. Gli ideali ottocenteschi dell’emancipazione e dell’integrazione – quindi – che si confrontavano con gli entusiasmi del giovane sionismo militante che era giunto al punto di tentare un’avventura politica nella gestione di una comunità ebraica italiana. Non si azzardino paralleli (inopportuni) con la situazione attuale. Sono trascorsi cent’anni, e si vedono. Rimane tuttavia di fondo la passione con cui si dibatteva attorno all’amministrazione delle comunità ebraiche e al loro ruolo nella società civile. Chi avesse voglia di leggere qualcosa sull’episodio può cominciare sfogliando le pagine del settimanale “Israel” sulla Digital Library della Fondazione CDEC. Buona lettura.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC
(3 gennaio 2019)